Parte Quarta. Le
Traduzioni
15. La traduzione religiosa
La
traduzione religiosa non è il genere più antico di traduzione: v’era la
traduzione diplomatica. Ma con lo sviluppo delle religioni divenne il genere
più importante.
La Bibbia ne è l’esempio più stupefacente, ma non il solo: il
libri buddisti furono tradotti in cinese, sanscrito, tibetano, mongolo.
A
partire dalla versione dei Settanta
ve ne furono poi in tutte le lingue (ebraica, caldea, greca, ecc.) ma con
l’istituzione della Vulgata (san
Gerolamo, V sec.) come unico testo autorizzato la traduzione latina si arrestò.
In compenso, le religioni protestanti ne diedero nuove traduzioni e continue
revisioni (versione tedesca, calvinista, anglicana), una vera e propria
industria.
La
traduzione della Bibbia è stata dunque un’attività di notevole portata perché è
stata il banco di prova dei problemi teorici sulla traduzione. Infatti, se
inizialmente il rispetto della parola divina immobilizzava alla versione
letterale, con il Rinascimento la traduzione protestante ha imposto il punto di
vista contrario, cioè che ogni traduzione deve essere fedele tanto allo spirito
quanto alla lettera del testo.
Questa
preoccupazione di dare una traduzione fedele ma intellegibile al lettore di
ogni epoca ha condotto a imporre la revisione della Bibbia ogni min 20 max 50
anni (Congresso dei traduttori della Bibbia, 1947).
Altro
importante aspetto è il carattere spesso collettivo dell’impresa che poneva
come corollario il problema della unità
di tono, che in generale veniva salvaguardata dall’unità ideologica del
gruppo, come bene aveva visto Lutero.
Occorre
dire infine che ogni traduzione discende di qualche strato verso l’originale
come in uno scavo archeologico.
16. La
traduzione letteraria
Occupa
statisticamente il primo posto tra tutti i generi di traduzione. Il problema
della traduzione letteraria nacque dal conflitto, già in Cicerone, tra la
tradizione sacra della versione letterale e l’abitudine profana del libero
adattamento (dal Medioevo al XVIII s.). È l’annoso problema della fedeltà
opposto alla bellezza.
Quando
Cary suggerisce che la traduzione letteraria è un’operazione letteraria e non
linguistica, non afferma che bisogna scegliere un’alternativa (fedeltà o
bellezza) ma che bisogna associare le due cose: prima la fedeltà poi la
bellezza.
Ma
cosa si deve rendere di un testo? La risposta è: il contesto. Ma se l’antica
nozione di contesto era chiara (l’insieme degli indizi) oggi la nozione di
contesto richiede di farne un inventario, perché c’è il contesto linguistico,
geografico, storico, culturale, sociale e per stabilire distinzioni più precise
di questi contesti la linguistica ha proposto definizioni più esatte. Anzitutto
la nozione di messaggio, cioè l’insieme di significati di un enunciato di
natura extralinguistica (storica, geografica, ecc.). Riservando alla nozione di
contesto
tutte le indicazioni fornite esplicitamente dal testo la linguistica definisce situazione
tutte le indicazioni (geografiche, storiche, culturali) non presenti
nell’enunciato ma implicite. È dunque priva di qualità la traduzione che non
rispetti la fedeltà prima al contesto poi alle situazioni. La linguistica ci ha
dato anche l’analisi di tutte le diverse lingue di una lingua (volgare,
popolare, gergale, ecc.) definiti ‘registri di lingua’.
Dal
tempo in cui la fedeltà di una traduzione letteraria significava tradurre ogni
parola con una parola, ora sinonimo di infedeltà del contesto e della
situazione, l’analisi linguistica ha riportato qualità alla traduzione
letteraria, perché oggi tradurre significa nono solo rispettare il senso
strutturale del testo, ma anche il senso globale del messaggio.
Ed
ecco la nuovissima definizione di fedeltà di una traduzione. Vinay e Darbelnet
distinguono sette modi leciti di
traduzione, la quale non è più solo rispetto della forma o del contenuto, ma
trasmissione la più esatta possibile del ‘rapporto tra forma e contenuto
dell’originale’. Anzitutto l’imprestito (parola straniera), il calco
(copia della forma), la traduzione letterale, la trasposizione
(traduzione violando il preteso spirito della lingua), la modulazione (cambio del
punto di vista), l’adattamento (si traduce una situazione con una analoga).
E
dunque merito della linguistica se questi modi di traduzione possano riapparire
in una veste più scientifica.
Riguardo
la bellezza, per tradurre i poeti bisogna essere poeti, un testo letterario
occorre avere stile, ma ciò dipende dal talento e non si può insegnare.
Possiamo
dunque dire solo ciò che non si deve fare: evitare le disparità, ossia la
mancanza di unità di linguaggio, e tener conto del registro usato
nell’originale.
Infine,
occorre decidere tra i due registri di traduzione: ad es. un
traduttore che traduce in italiano o si ‘italianizza’ il testo, perdendo però
il colore della lingua originaria (condurre il testo verso il lettore), o si
cerca di estraniare il lettore italiano dal suo mondo senza permettergli di
dimenticare che si trova di fronte a un’altra lingua (condurre il lettore verso
il testo).
17. La
traduzione poetica
La
traduzione poetica ha le sue difficoltà peculiari, e a questo si pensa quando
si dice che la traduzione è impossibile. Riappare infatti la vecchia disputa
tra i ‘professori’, per la fedeltà letterale, e gli ‘artisti’, preoccupati più
della fedeltà più profonda da raggiungere.
Ma
cosa s’intende per fedeltà poetica? Tradurre esattamente il lessico? La
grammatica? Lo stile? La musicalità? In conclusione, lo spirito delle lingue
consisterebbe nella loro fonetica? E allora il russo (ricco di sibilanti)
esprimerebbe una ‘mentalità sibilante’, l’inglese (ricco di monosillabi) una
‘mentalità monosillabica’? C’è il rischio, in questo caso, di cadere nell’eufonia.
Fedeltà alla poesia
Dunque,
per fedeltà poetica si intende la traduzione che sa scegliere le parole-chiave
da mostrare, le forme grammaticali e le allitterazioni significative e
espressive, saper scegliere i silenzi, le pause o le frasi ellittiche.
Tuttavia, siccome ogni lingua ha le sue particolarità, le possibilità inerenti
una data letteratura non saranno mai interamente le medesime di un’altra.
Difficoltà della traduzione poetica
La
‘traduziante’, paura di non riuscire
a tradurre il significato intero di un testo, spinge spesso ad aggiungere
qualcosa e quindi a supertradurre.
Torniamo
dunque al vecchio adagio per cui ‘per tradurre una poesia bisogna essere poeti’
soprattutto per capire il testo poetico, le vibrazioni emotive. Ma a ciò si
aggiunga che il traduttore-poeta dev’essere anche conoscitore della società da
cui quel testo sorge e solo così può raggiungere la comprensione totale di quel
testo che vuol tradurre.
18. La
traduzione dei libri per bambini
Genere
particolare, presenta problemi specifici e insospettate difficoltà, soprattutto
quella destinata alla prima età, che pone problemi simili a quelli della traduzione
poetica. Per l’importanza che vi hanno i dialoghi, si avvicina invece alla
traduzione teatrale, e per l’importanza che hanno le immagini, si avvicina alla
traduzione cinematografica.
19. La
traduzione teatrale
Abbiamo
già accennato all’importanza dei diversi contesti di un enunciato e
l’enunciato teatrale è concepito proprio in vista di quei contesti perché
scritto in funzione di un pubblico che in sé li riassume conoscendo le
situazioni in cui essi si esprimono.
Questo
spiega perché la traduzione teatrale sia più rara perché bisogna conoscere a
fondo tutti quei contesti che solo chi vive il quotidiano della lingua
originaria è possibile conoscere.
Ecco
perché di una traduzione teatrale si parla spesso di adattamento, trasposizione
o equivalenza.
20. La
traduzione per il cinema
Il doppiaggio
Nato
con il cinema parlato, già nel cinema muto (in Francia) l’operatore commentava
il film ricostruendone i dialoghi. Ma subito sorse il problema dell’isocronia e
la necessità di analizzare i diversi movimenti boccali degli attori. Così la
fonetica entrava nel cinema: si cominciarono a distinguere le vocali e le consonanti che fanno aprire la
bocca e si cercò l’isocronia delle sillabe, in modo che le battute
corrispondessero almeno per il numero di sillabe. Ben presto però tale metodo
rivelò subito i suoi limiti: ora il ritmo della voce non quadrava più e a
dispetto dell’isocronia sillabica! In inglese infatti la sillaba è più lunga,
in italiano le banderitmo recano un testo che è tre volte più fitto di
un’altra lingua per via della naturale precipitazione dell’eloquio italiano.
Infine,
l’illusione parlata la si cercò attraverso l’isocronia delle sole
articolazioni boccali visibili sullo schermo. Anche questo, tuttavia,
risultò insufficiente perché alcuni movimenti della bocca (quelli pre- e
post-articolari) non sono articolazione linguistica ma semplici smorfie.
Con
il ‘sistema
della banda’ attuale si elimina dunque la traduzione sillabica fatta
senza seguire le immagini: uno specialista mentre guarda il film trascrive su
una banda (bandamadre) sincronizzata al film tutto il dialogo riga per
riga con tutti i movimenti boccali visibili.
Tuttavia,
il doppiaggio presenta altre esigenze, a tal punto che Cary ha potuto affermare
che il doppiaggio merita il titolo di traduzione totale.
In
realtà l’isocronia delle articolazioni visibili della bocca non basta a un buon
doppiaggio: serve anche l’isocronia fra le espressioni mimiche e il testo, fra
i gesti e il testo tradotto e ottenere l’isocronia del testo tradotto con tutti
gli altri elementi corporei della situazione.
La tecnica delle didascalie
Problema
fondamentalmente tecnico, le didascalie non devono superare le 8 lettere e
spazi al secondo e ogni didascalia non può superare i 72 segni (9 secondi) e
poiché il dialogo originale non è mai così breve, il lavoro del traduttore
consiste nel ridurre il testo senza tuttavia allontanarsi dal senso.
La didascalia sonora
È
quella usata dagli interpreti quando, in una conferenza, l’applicano come ‘traduzione
sussurrata’ utilizzando gli spazi di silenzio del dialogo originale.
21. Le traduzioni tecniche
La
traduzione tecnica, ossia tutto ciò che non è traduzione letteraria (poesia,
teatro, cinema), è la più vecchia del mondo.
La traduzione diplomatica
Risale
ai primi imperi (Egitto, ittiti e assiri). Per secoli in Europa si ebbe il
latino come lingua diplomatica (soltanto nel 1672 la Francia dichiarò la
preminenza del francese), e conobbe sviluppi grazie alle relazioni che la Francia cominciò ad avere
con i turchi (1535) e il mondo arabo, creando corpi appositi di interpreti (gli
‘enfants
de langue’) e i dragomanni.
Nello
stesso periodo Pietro il Grande creò a Pechino (1727) un seminario di lingue
orientali, dove venivano inviati giovani russi detti ‘allievi di lingue’. È
tuttavia con il Congresso di Vienna (1815) che la figura dell’interprete prende
rilievo. Così Friedrich von Gentz, segretario di Metternich, fu il primo
modello dei grandi interpreti e traduttori diplomatici (traduceva
indifferentemente per l’Inghilterra, la Francia, la Russia), fra cui citiamo Jean Herbert, poi
creatore del corpo di interpreti dell’Onu, e Hans Jacob, interprete capo
all’Unesco.
Le traduzioni amministrative
La
traduzione amministrativa è vecchia quanto quella diplomatica.
La
traduzione
giudiziaria è oggi completamente meccanizzata: gli atti vengono
tradotti secondo formule stereotipe e tutte uguali.
Quanto
alla traduzione
militare, in Francia gli interpeti militari sono sorti come erano sorti
i dragomanni, cioè con il contatto con le popolazioni arabe al momento della
conquista d’Algeria (1930).
La traduzione commerciale
Enorme
quanto a volume, presenta anch’essa formule stereotipe e meccanizzate.
La traduzione tecnico-scientifica
Ma
a livello non-commerciale e tecnico-scientifico le cose vanno diversamente.
Primo problema è che il loro numero è enorme; secondo che non essendovi
traduttori specializzati si tende spesso a intraprendere una ricerca piuttosto
che tradurre il materiale pubblicato.
Inoltre,
anche la traduzione tecnico-scientifica ha i suoi problemi di senso e
contenuto. Infatti, se un traduttore letterario commette un errore grossolano,
si copre di ridicolo ma nuoce poco all’autore. Il traduttore tecnico invece è
ossessionato dagli errori di significato che provocano conseguenze materiali
drammatiche se si tratta, ad esempio, di un brevetto d’invenzione.
Per
questo, mentre il traduttore letterario diffida del dizionario, il traduttore
scientifico lo considera il proprio strumento di lavoro, e ciò ha provocato
un’industria dei dizionari specializzati. Col patrocinio dell’Onu è
stata all’uopo redatta una bibliografia dei dizionari tecnico-scientifici,
aggiornata costantemente dal 1955 dalla rivista “Babel”. Non sono rari i glossari
multilingue.
Ma
questa massa di strumenti non basta ancora al lavoro dei traduttori
scientifici. Perciò i più abili sono giunti alla convinzione che il miglior
dizionario tecnico è un’opera sull’argomento, un buon manuale su cui apprendere
rapidamente il lessico necessario.
È
stata infine creata un’organizzazione con l’incarico di ‘normalizzare’ e
standardizzare il linguaggio scientifico: la International Standards
Organizations (ISO), con la sua commissione di unificazione del vocabolario,
l’ISO-TC37.
22. Il lavoro dell’interprete
Per
secoli i profani hanno sempre confuso tra interprete e traduttore, ponendo il
primo a un livello più basso del secondo. Oggi non è più così.
Interprete e traduttore
Oggi
l’interprete ha un rango molto più elevato: non è più un anonimo subalterno.
D’altronde si tratta di un’attività totalmente diversa dalla traduzione: è una
forma orale e istantanea di traduzione.
Il
traduttore, infatti, ha tempo (tornare indietro, correggere, rivedere), mentre
l’interprete attua una traduzione a
prima vista o traduzione a libro
aperto; inoltre, dev’essere anche oratore e persino attore, un artista.
Le qualità dell’interprete
Secondo Jean Herbert la qualità
fondamentale di un interprete è quella d’essere..
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