G. Berruto M.
Cerruti, La linguistica. Un
corso introduttivo (Utet 2011)
Cap. 5 Semantica
5.1 Il
significato
La
parte della linguistica che si occupa del piano del significato è la semantica
(dal gr. ‘significare’). Il primo problema con cui si scontra la semantica è la
definizione stessa di che cosa sia il significato: se è facile e sicuro dire
cos'è il significante, la parte materiale dei segni linguistici, su cosa sia il
significato, la parte immateriale dei segni linguistici, le idee e le cose sono
molto meno chiare.
Il
significato non è ‘visibile’, ed è il punto di sutura fra la lingua, la mente e
il mondo esterno e definire e analizzare il significato rimane assai
problematico anche solo dal punto di vista linguistico.
Esistono
tuttavia due modi fondamentali per concepirlo.
V’è
innanzitutto una concezione referenziale,
o concettuale del significato: il
significato è in questo caso visto come un concetto, un'immagine mentale,
un'idea o operazione creata dalla nostra mente, corrispondente a qualcosa che
esiste al di fuori della lingua (cfr. il ‘triangolo semiotico’, fig. p. 9).
In
un'altra prospettiva, vi è una concezione
operazionale, contestuale, del significato, secondo cui esso è funzione
dell'uso che si fa dei segni, vale a dire ciò che accomuna i contesti d'impiego
di un segno e ne permette l'uso appropriato.
In
termini generali possiamo comunque definire il significato come ‘l’informazione
veicolata da un segno o elemento linguistico’. Occorre tuttavia distinguere fra
tipi diversi di significato. Molto utilizzata in linguistica è la distinzione
tra significato denotativo (‘concettuale’ o ‘referenziale’) e significato
connotativo (‘associativo’ o ‘espressivo’).
Il
significato denotativo (o
‘denotazione’) è quello inteso nel senso oggettivo, di ciò che il segno
descrive e rappresenta; corrisponde cioè al valore di identificazione di un
elemento della realtà esterna, un ‘referente’.
Il
significato connotativo (o
‘connotazione’) è invece il significato per così dire indotto, soggettivo,
connesso alle sensazioni suscitate da un segno e alle associazioni a cui esso dà
luogo e da queste inferibile; non ha valore di identificazione di referenti. Ad
es., gatto ha come significato
denotativo ‘felino domestico di piccole dimensioni’ e come significato connotativo
‘animale grazioso, furbo, pigro, indipendente’. Quindi mentre il termine gatto denota una sottoclasse di felini,
può anche connotare un tipo di comportamento associabile a quello di ‘felino
domestico’.
Un'altra
distinzione utile è quella fra significato linguistico e significato
sociale: mentre il significato linguistico è il significato che un termine
ha in quanto elemento di un sistema linguistico codificante una
rappresentazione mentale, il significato sociale è il significato che un segno
può avere in relazione ai rapporti fra i parlanti, ciò che esso rappresenta in
termini di dimensione sociale.
Una
distinzione di altra natura, interna questa volta al significato denotativo, è
quella fra significato lessicale e significato grammaticale.
Hanno significato lessicale i termini che rappresentano oggetti concreti o
astratti, entità o concetti della realtà esterna; hanno significato
grammaticale i termini che rappresentano concetti o rapporti interni al sistema
linguistico, alle categorie che questo prevede o alle strutture cui esso dà
luogo. I termini dal significato lessicale vengono anche chiamati parole
piene, quelli dal significato grammaticale parole vuote.(o
‘funzionali’)
Un'ulteriore
distinzione sì deve fare tra il significato vero e proprio in tutti i suoi vari
aspetti da quella che si usa chiamare enciclopedia: il significato fa
parte del sistema linguistico, è codificato, e non va confuso con il sapere
generale (‘enciclopedia’) derivato dalla conoscenza del mondo esterno che noi
abbiamo in quanto esseri viventi di un determinato ambiente.
Un'altra
distinzione che si fa spesso è quella fra significato e senso,
dove per senso si intende il significato contestuale, vale a dire la
specificazione e concretizzazione che il contenuto di un termine assume ogni
volta che viene effettivamente usato in una produzione linguistica in un certo
contesto. Finestra, per es., ha come significato ‘apertura in una parete’
ma, a seconda del contesto, può anche significare ‘riquadri che si aprono sullo
schermo di un computer’). Ad un significato corrispondono dunque vari sensi e
la questione è pertanto connessa con la polisemia (cfr. § 5.3.1).
I nomi,
in semantica ‘nomi propri’, sono etichette, termini a referente unico che
designano un individuo e non una classe e che hanno solo estensione e
non intensione: il che significa che possiamo conoscere tutto su un
certo Antonio ma non possiamo dire da cosa sia costituito il significato
concettuale legato al termine Antonio. Per intensione si intende dunque l'insieme
delle proprietà che costituiscono il concetto designato da un termine e, per estensione
sì intende l'insieme degli individui (oggetti) a cui il termine si può
applicare. L’intensione di cane è
dunque l’insieme di proprietà che costituiscono la ‘caninità’ e l’estensione di
cane è data da tutti i membri della classe dei cani, cioè dall’insieme
di tutti gli individui a cui è possibile riferirsi quando usiamo il termine cane.
Per
cui il nome proprio Antonio ammette più referenti ma ognuno di questi è unico
per hic et nunc, nel senso che quando si parla di Antonio ci si
riferisce soltanto ad un Antonio determinato e non a tutti i potenziali
esseri umani aventi lo stesso nome.
5.2 Il lessico
Anche
per il livello semantico il linguista pone un'unità d'analisi minima fondamentale.
Tale unità è il lessema, che corrisponde ad una parola considerata dal
punto di vista del significato. Studiare
il lessema di rivoluzione significa studiare i significati linguistici di
‘rivoluzione’.
L'insieme
dei lessemi di una lingua costituisce il suo lessico. Lo studio dei vari aspetti
del lessico è compito della lessicologia, mentre la lessicografia
è lo studio dei metodi e della tecnica di composizione dei vocabolari e
dizionari, cioè le opere che raccolgono e documentano il lessico di una lingua.
Dal
punto di vista del linguista, il lessico presenta aspetti contrastanti. Da un
lato, il lessico è uno dei due componenti essenziali di una lingua; senza
lessico non esisterebbe una lingua, non potremmo comunicare verbalmente, i
messaggi sarebbero strutture vuote. Allo stesso tempo però il lessico è lo
strato più esterno e superficiale di un sistema linguistico, la parte meno
intima e più visibile esteriormente, più esposta alle varie circostanze extralinguistiche
e più condizionata da fattori estranei all'organizzazione del sistema. Nel
lessico sì fondono intatti il mondo esterno e la lingua.
È quindi
il livello d'analisi meno linguistico e relativamente meno interessante per
l'analisi delle strutture e del funzionamento del sistema linguistico in quanto
è lo strato della lingua più ampio, comprendente, rispetto alla fonologia, la
morfologia e la sintassi, un inventario incomparabilmente più numeroso di
elementi e il meno strutturato e apparentemente asistematico e caotico. È dunque
la parte aperta e fluttuante del sistema, suscettibile di essere continuamente
incrementata con nuove unità.
Si
stima che il lessico di lingue come l'italiano, l'inglese, il francese, lo
spagnolo, il tedesco, ecc, ammonti ad alcune centinaia di migliaia di lessemi,
escludendo i termini meramente classificatori delle tassonomie scientifiche. I
comuni dizionari contengono tra i 90.000 e il 130.000 lessemi, o meglio ‘lemmi’
(entrate del dizionario).
La
frequenza d'uso e la disponibilità immediata o meno dividono le parole in classi
che si comportano in maniera molto differenziata.
Associando
alla frequenza la disponibilità (cioè che i lessemi abbiano valore comune, non tecnico,
che designano oggetti e concetti largamente presenti nella vita quotidiana), si
individua nel lessico un nucleo centrale (detto di solito ‘vocabolario di
base’). Per l'italiano, esso risulta costituito da meno di 7000 unità:
comprende circa 2000 lessemi di altissima frequenza d'uso (che costituiscono il
‘vocabolario fondamentale’: es. questo, perché, cosa, fare, ecc.)
e altri lessemi di frequenza relativamente alta (canzone, tenda, veloce,
ecc.) o di alta disponibilità pratica (ambulanza, cipolla, forchetta,
spalmare, ecc.).
5.3 Rapporti di significato
tra lessemi
5.3.1 Omonimia e polisemia
Abbiamo
visto come il lessico si presenti come un caotico elenco di lessemi. Un primo modo
per mettere ordine nel lessico è vedere se esistono relazioni di significato,
rapporti semantici, tra un dato lessema e uno o più altri lessemi.
Una
prima nozione è quella di omonimia: sono omonimi lessemi che hanno lo
stesso significante, ma a cui corrispondono significati diversi, non
imparentati tra loro e non derivabili l'uno dall'altro. A seconda che
l'omonimia riguardi solo la grafia oppure anche la pronuncia, possiamo distinguere
più precisamente tra termini omografi (es. pesca di ‘frutto’ e pesca
di ‘pescare’), in cui le due parole sono differenziate dalla pronuncia, e termini
omofoni (ad es. pianta di ‘albero’ e pianta di ‘mappa’).
Se
invece i diversi significati associati ad uno stesso significante sono imparentati
tra loro e derivati (o derivabili) l'uno dall'altro, si tratta di polisemia
(es. corno = protuberanza, strumento, cima). In questo caso, non si può
parlare di lessemi formalmente uguali aventi diverso significato, ma di un
unico lessema avente più significati. Altro es., testa = parte superiore
del corpo, estremità iniziale.
Gli
omonimi spesso non appartengono alla stessa categoria lessicale e, di solito,
hanno anche diversa origine etimologica (es. casco = verbo, nome).
Un
caso molto speciale di polisemia è l’enantiosemia, che si ha quando
significati diversi dello stesso termine sono tra di loro in un rapporto di
opposizione (es. ospite è sia ‘chi ospita’, sia ‘chi viene ospitato’).
5.3.2 Rapporti di similarità
I
rapporti possono essere basati sulla compatibilità o la somiglianza (vicinanza)
semantica tra lessemi.
La
sinonimia è il primo di questi. Sono sinonimi lessemi diversi aventi
significato uguale: es. urlare/gridare, pietra/sasso, ecc. In
realtà, avere lo stesso significato implicherebbe la perfetta intercambiabilità
tra i due termini in tutti i possibili contesti, mentre la sostituzione di un
termine con un altro crea sfumature diverse di significato, aggiungendo così
valori connotativi (es. in gatto/micio, il secondo termine aggiunge un
valore affettivo ignoto al primo termine). Sembra quindi più corretto parlare
di ‘quasi sinonimia’, perché i sinonimi veri (totali e completi) sono assai
rari e sembrano ridursi a casi di varianti formali come tra/fra, devo/debbo).
Un
altro rapporto di somiglianza semantica è l’iponimia, che si manifesta quando
il significato di un lessema rientra in un significato più ampio e generico
rappresentato da un altro lessema (tutti gli x sono y ma non tutti gli y sono
x). In questo caso x è iponimo di y, il quale è ‘iperonimo’ (o
‘sovraordinato’ o ‘arcilessema’) rispetto a x. Armadio, ad es., è
iponimo di mobile (che d’altronde è iperonimo rispetto a armadio).
Riguardo al rapporto intensione/estensione, l'iponimo ha un'intensione…
prime 2 pagine di 5 – per continuare segui questo link
(o copialo nella barra indirizzi):
Nessun commento:
Posta un commento