G. Berruto M.
Cerruti, La linguistica. Un
corso introduttivo (Utet 2011)
Cap. 3
Morfologia
3.1 Parole e morfemi
La
morfologia (dal greco morphé ‘forma’ + logia
‘studio’) ha un suo ambito d’azione specifico: la forma, la struttura della parola,
ossia la minima combinazione di morfemi costruita spesso attorno ad una base
lessicale (cioè da almeno un morfema recante significato referenziale)
che funzioni come entità autonoma e possa costituire, da sola, un segno
linguistico compiuto e comparire come unità separabile.
Fra
i criteri che permettono una definizione più precisa di parola possiamo
menzionare:
- a) il
fatto che all’interno della parola l’ordine dei morfemi che la costituiscono è
rigido e fisso, pena la distruzione della parola stessa (es. gatto = gatt-o e non o-gatt);
- b)
il fatto che i confini di una parola
sono punti di pausa potenziale del discorso;
- c)
il fatto che la parola è di solito separata/separabile
nella scrittura;
- d) il
fatto che foneticamente la pronuncia della parola non è interrotta ed è
caratterizzata da un unico accento primario.
Proviamo
ora a scomporre parole in pezzi più piccoli ancora portatori di significato: i
morfemi. Ad es., possiamo scomporre l’aggettivo dentale in tre morfemi: dent-
col significato di ‘organo della masticazione’; -al- col significato di ‘(aggettivo) relativo a’; -e col significato di ‘singolare (uno
solo)’.
Ciascuno
dei tre morfemi è tuttavia suscettibile di entrare come componente di altre
parole mantenendo lo stesso significato: ad es. dent- in dente, dentista,
dentifricio, ecc.; -al- in stradale, mortale, fatale,
ecc.; -e in gentile, abile, feroce, ecc. Occorre tuttavia
precisare che parti di significante identiche non vuol dire che si tratti dello
stesso morfema: ad es., in studente non c’è affatto il morfema -dent-
perché la parola è scomponibile in stu-den-te; in spalare non c’è il
morfema -al- perché scomponibile in spa-la-re.
Esiste
un procedimento rapido per scomporre una parola (ad es. dentale) in
morfemi confrontandola via via con parole simili che contengono uno per uno i
morfemi che vogliamo individuare. Cominciando dalla forma più vicina dentali,
escludendo le parti uguali ci accorgiamo che -e ha valore singolare (e -i
di plurale); confrontando poi dentale con stradale vediamo che -al
e dent- sono due altri morfemi. L’analisi trova conferma confrontando
infine dentale con dente. Tale procedimento è detto prova di
commutazione.
Un
morfema dunque è l’unità minima di prima articolazione, il più piccolo pezzo di
significante di una lingua portatore di significato e riusabile, la minima
associazione infine tra significato e significante.
Ma
come in fonologia abbiamo fonema, fono, allofono, in morfologia abbiamo il morfema,
portatore di un significato proprio, il morfo, che rappresenta il
morfema dal punto di vista del significante e prima e indipendentemente dalla
sua analisi funzionale e strutturale, e l’allomorfo, che è la variante
formale del morfema e realizza lo stesso significato di un altro morfo con la
stessa funzione e suscettibile di apparire sotto forme parzialmente diverse.
Ad
esempio il morfema italiano con il significato di “spostarsi avvicinandosi verso
un luogo determinato” che troviamo nel
verbo venire appare in italiano nelle cinque forme ven- (venire,
venuto, ecc.), venn- (venni, vennero), veng- (vengo, vengano), ver-
(verrò, verrebbe) e ciascuna di esse è un allomorfo dello stesso morfema che
possiamo designare con la forma più frequente, cioè ven-. Il morfema ven-
quindi ha quattro allomorfi diversi. Ma
l’allomorfia può riguardare sia i morfemi lessicali (come nell’esempio citato)
che quelli grammaticali, come nel caso delle varianti del suffisso del plurale
in inglese: [-s] di cats, [-z] di dogs e [-iz] di horses.
Le cause dei fenomeni di allomorfia sono da rintracciare nella
diacronia e quindi nei mutamenti fonetici a cui sono state sottoposte le varie
lingue nel tempo. Ma per parlare di allomorfia occorre comunque che ci sia affinità
fonetica tra i diversi morfi che realizzano lo stesso morfema. L'italiano è
ricco di casi di allomorfia: un esempio sono il- di illecito e in-
di inutile: entrambi sono allomorfi dello stesso morfema in- in
quanto in- davanti a consonanti laterali, vibranti o nasali la [n] si assimila
alla prima consonante della parola a cui il prefisso sì applica (e così con irregolare,
immobile, impuro, ecc.).
Fenomeno simile all’allomorfia è il suppletivismo, dove l'origine della base
lessicale è uguale a livello diacronico, ma per stratificazione storica
risultano due morfi diversi: uno rimasto intatto e l'altro modificato. Un
esempio è quello del sostantivo acqua e dell'aggettivo idrico,
dove il primo acqu- deriva dal latino e il secondo idr- dal greco
(vedi anche cavallo e equino, fegato e epatico,
ecc.).
3.2 Tipi di
morfemi
Esistono
due punti di vista principali per individuare differenti tipi di morfemi: la
prima, e fondamentale, è la classificazione
funzionale, in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i morfemi
recano nel contribuire al significato delle parole; la seconda è la classificazione posizionale, basata
sulla posizione che i morfemi assumono all'interno della parola e sul modo in
cui essi contribuiscono alla sua struttura.
3.2.1 Tipi
funzionali di morfemi
Nella
classificazione funzionale la prima distinzione da fare è tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. I morfemi
grammaticali a loro volta sì suddividono in morfemi derivazionali (o ‘derivativi’) e morfemi flessionali (o ‘flessivi’).
I morfemi lessicali stanno nel lessico,
nel vocabolario, di una lingua, e costituiscono una classe aperta, continuamente arricchibile di nuovi elementi in
maniera non predicibile; mentre i morfemi
grammaticali stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, non suscettibile di
accogliere nuove entità, i cui elementi in un dato momento sono tutti
predicibili e si possono enumerare ad uno ad uno.
Non
sempre tuttavia la distinzione fra morfemi lessicali e morfemi grammaticali è
del tutto chiara e applicabile senza problemi: in italiano è questo il caso di
molte ‘parole funzionali’ (o ‘parole
vuote’), come gli articoli, i pronomi personali, le preposizioni, le
congiunzioni, che formano classi grammaticali chiuse ma che difficilmente sì
possono definire morfemi grammaticali a pieno titolo. Una distinzione che si fa
di solito e che può essere utile in questo contesto è quella tra morfemi ‘liberi’ (morfemi lessicali) e morfemi ‘legati’ (mortemi grammaticali):
i secondi non possono mai comparire isolati ma solo in combinazione, legati,
con altri morfemi. Tale distinzione, tuttavia, valida per l’inglese (dove
morfemi lessicali spesso costituiscono da soli una parola: es. cat, boy,
run, ecc.) mal si adatta all’italiano
in cui anche i morfemi lessicali, le radici, sono di norma morfemi legati (es. gatt-o, buon-o, corr-ere). Gli affissi (vd. oltre) sono invece sempre
morfemi legati. Da tale distinzione possiamo però dire che le parole funzionali
possono essere considerate morfemi
semiliberi.
La
derivazione, che dà luogo a parole
regolandone i processi di formazione, e la flessione,
che dà luogo a forme di una parola regolandone il modo in cui si attualizzano
nelle frasi, costituiscono dunque i due grandi ambiti della morfologia. Si
tenga presente che, a partire da determinate radici o basi lessicali, la
derivazione agisce prima della flessione: prima costruiamo parole, a cui poi applichiamo
le dovute flessioni.
3.2.2 Tipi
posizionali di morfemi
Quando
vengono considerati dal punto di vista posizionale, i morfemi grammaticali
possono essere globalmente chiamati affissi
e un affìsso è ogni morfema che si combina con una radice.
Esistono
diversi tipi di affissi. Gli affissi che, nella struttura della parola, stanno
prima della radice si chiamano ‘prefissi’;
quelli che stanno dopo la radice si chiamano ‘suffissi’. In inutile, ad
es., in- è un prefisso (dal
significato negativo ‘non’); in cambiamento,
-ament- e -o sono suffissi, l’uno con valore derivazionale, l’altro con
valore flessionale.
I
suffissi con valore flessionale, in italiano sempre nell’ultima posizione dopo
la radice e gli eventuali suffissi derivazionali, si chiamano desinenze: -o è quindi una desinenza. In italiano, ovviamente, i prefissi sono
sempre derivazionali.
La
distinzione tra prefissi e suffissi è certamente quella fondamentale. In altre
lingue, tuttavia, esistono altri tipi di affissi come gli infissi, che sono affissi inseriti dentro radice. In italiano, non
esistono se non in casi come quello di -ic- in cuoricino, campicello,
ecc. Un altro tipo di morfemi discontinui sono i ‘circonfissi’, affissi formati da due parti, una prima della radice
l’altra dopo: ad es., l’affisso del participio passato in tedesco ge-t come in gesagt (‘detto’, da sagen ‘dire’).
A
un livello di maggior precisione può essere fatta una ‘trascrizione morfematica’, in cui la forma dei morfemi si può scrivere
tra graffe { } indicando nella riga sottostante (con sigle e abbreviazioni in
maiuscoletto - le c.d. glosse) nel caso dei morfemi grammaticali, il
loro significato e valore. Ad es., dentale
può essere rappresentato:
{dent}- -{al}-
-{e}
‘dente’ agg sg (N.B. per le glosse
consulta p. XI)
In
alcune lingue esistono poi gli affissi che si incastrano alternativamente (‘a
pettine’) nella radice dando discontinuità sia all’affisso che alla radice:
sono i c.d. transfissi (molto
diffusi nella lingua araba).
3.2.3 Altri tipi
di morfemi
La
fenomenologia delle realizzazioni morfematiche è molto varia e può mostrarsi
ancora ben più complessa. Esistono per
esempio anche morfemi i cui morfi non sono isolabili segmentalmente. Di questo
genere sono i morfemi detti ‘sostitutivi’, perché si manifestano con la
sostituzione dì un fono ad un altro fono. Tali morfemi..
prime 2 pagine di 5 – per continuare segui questo link
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