mercoledì 2 settembre 2015

Berruto/Cerruti - Linguistica generale. 3. Morfologia



G. Berruto M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo (Utet 2011)
 
Cap. 3 Morfologia

3.1 Parole e morfemi

La morfologia (dal greco morphé  ‘forma’ + logia ‘studio’) ha un suo ambito d’azione specifico: la forma, la struttura della parola, ossia la minima combinazione di morfemi costruita spesso attorno ad una base lessicale (cioè da almeno un morfema recante significato referenziale) che funzioni come entità autonoma e possa costituire, da sola, un segno linguistico compiuto e comparire come unità separabile. 
Fra i criteri che permettono una definizione più precisa di parola possiamo menzionare:
- a)       il fatto che all’interno della parola l’ordine dei morfemi che la costituiscono è rigido e fisso, pena la distruzione della parola stessa (es. gatto = gatt-o e non o-gatt);
- b)      il fatto che i confini di una parola sono punti di pausa potenziale del discorso;
- c)       il fatto che la parola è di solito separata/separabile nella scrittura;
- d)      il fatto che foneticamente la pronuncia della parola non è interrotta ed è caratterizzata da un unico accento primario.

Proviamo ora a scomporre parole in pezzi più piccoli ancora portatori di significato: i morfemi. Ad es., possiamo scomporre l’aggettivo dentale in tre morfemi: dent- col significato di ‘organo della masticazione’; -al- col significato di ‘(aggettivo) relativo a’; -e col significato di ‘singolare (uno solo)’.
Ciascuno dei tre morfemi è tuttavia suscettibile di entrare come componente di altre parole mantenendo lo stesso significato: ad es. dent- in dente, dentista, dentifricio, ecc.; -al- in stradale, mortale, fatale, ecc.; -e in gentile, abile, feroce, ecc. Occorre tuttavia precisare che parti di significante identiche non vuol dire che si tratti dello stesso morfema: ad es., in studente non c’è affatto il morfema -dent- perché la parola è scomponibile in stu-den-te; in spalare non c’è il morfema -al- perché scomponibile in spa-la-re.
Esiste un procedimento rapido per scomporre una parola (ad es. dentale) in morfemi confrontandola via via con parole simili che contengono uno per uno i morfemi che vogliamo individuare. Cominciando dalla forma più vicina dentali, escludendo le parti uguali ci accorgiamo che -e ha valore singolare (e -i di plurale); confrontando poi dentale con stradale vediamo che -al e dent- sono due altri morfemi. L’analisi trova conferma confrontando infine dentale con dente. Tale procedimento è detto prova di commutazione.

Un morfema dunque è l’unità minima di prima articolazione, il più piccolo pezzo di significante di una lingua portatore di significato e riusabile, la minima associazione infine tra significato e significante.
Ma come in fonologia abbiamo fonema, fono, allofono, in morfologia abbiamo il morfema, portatore di un significato proprio, il morfo, che rappresenta il morfema dal punto di vista del significante e prima e indipendentemente dalla sua analisi funzionale e strutturale, e l’allomorfo, che è la variante formale del morfema e realizza lo stesso significato di un altro morfo con la stessa funzione e suscettibile di apparire sotto forme parzialmente diverse.

Ad esempio il morfema italiano con il significato di “spostarsi avvicinandosi verso un luogo determinato” che troviamo  nel verbo venire appare in italiano nelle cinque forme ven- (venire, venuto, ecc.), venn- (venni, vennero), veng- (vengo, vengano), ver- (verrò, verrebbe) e ciascuna di esse è un allomorfo dello stesso morfema che possiamo designare con la forma più frequente, cioè ven-. Il morfema ven-  quindi ha quattro allomorfi diversi. Ma l’allomorfia può riguardare sia i morfemi lessicali (come nell’esempio citato) che quelli grammaticali, come nel caso delle varianti del suffisso del plurale in inglese: [-s] di cats, [-z] di dogs e [-iz] di horses.

Le cause dei fenomeni di allomorfia sono da rintracciare nella diacronia e quindi nei mutamenti fonetici a cui sono state sottoposte le varie lingue nel tempo. Ma per parlare di allomorfia occorre comunque che ci sia affinità fonetica tra i diversi morfi che realizzano lo stesso morfema. L'italiano è ricco di casi di allomorfia: un esempio sono il- di illecito e in- di inutile: entrambi sono allomorfi dello stesso morfema in- in quanto in- davanti a consonanti laterali, vibranti o nasali la [n] si assimila alla prima consonante della parola a cui il prefisso sì applica (e così con irregolare, immobile, impuro, ecc.).
Fenomeno simile all’allomorfia è il suppletivismo, dove l'origine della base lessicale è uguale a livello diacronico, ma per stratificazione storica risultano due morfi diversi: uno rimasto intatto e l'altro modificato. Un esempio è quello del sostantivo acqua e dell'aggettivo idrico, dove il primo acqu- deriva dal latino e il secondo idr- dal greco (vedi anche cavallo e equino, fegato e epatico, ecc.).
 
3.2 Tipi di morfemi

Esistono due punti di vista principali per individuare differenti tipi di morfemi: la prima, e fondamentale, è la classificazione funzionale, in base alla funzione svolta, al tipo di valore che i morfemi recano nel contribuire al significato delle parole; la seconda è la classificazione posizionale, basata sulla posizione che i morfemi assumono all'interno della parola e sul modo in cui essi contribuiscono alla sua struttura.

3.2.1 Tipi funzionali di morfemi

Nella classificazione funzionale la prima distinzione da fare è tra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. I morfemi grammaticali a loro volta sì suddividono in morfemi derivazionali (o ‘derivativi’) e morfemi flessionali (o ‘flessivi’).
I morfemi lessicali stanno nel lessico, nel vocabolario, di una lingua, e costituiscono una classe aperta, continuamente arricchibile di nuovi elementi in maniera non predicibile; mentre i morfemi grammaticali stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa, non suscettibile di accogliere nuove entità, i cui elementi in un dato momento sono tutti predicibili e si possono enumerare ad uno ad uno.
Non sempre tuttavia la distinzione fra morfemi lessicali e morfemi grammaticali è del tutto chiara e applicabile senza problemi: in italiano è questo il caso di molte ‘parole funzionali’ (o ‘parole vuote’), come gli articoli, i pronomi personali, le preposizioni, le congiunzioni, che formano classi grammaticali chiuse ma che difficilmente sì possono definire morfemi grammaticali a pieno titolo. Una distinzione che si fa di solito e che può essere utile in questo contesto è quella tra morfemi ‘liberi’ (morfemi lessicali) e morfemi ‘legati’ (mortemi grammaticali): i secondi non possono mai comparire isolati ma solo in combinazione, legati, con altri morfemi. Tale distinzione, tuttavia, valida per l’inglese (dove morfemi lessicali spesso costituiscono da soli una parola: es. cat, boy, run, ecc.) mal si adatta all’italiano in cui anche i morfemi lessicali, le radici, sono di norma morfemi legati (es. gatt-o, buon-o, corr-ere). Gli affissi (vd. oltre) sono invece sempre morfemi legati. Da tale distinzione possiamo però dire che le parole funzionali possono essere considerate morfemi semiliberi.
La derivazione, che dà luogo a parole regolandone i processi di formazione, e la flessione, che dà luogo a forme di una parola regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi, costituiscono dunque i due grandi ambiti della morfologia. Si tenga presente che, a partire da determinate radici o basi lessicali, la derivazione agisce prima della flessione: prima costruiamo parole, a cui poi applichiamo le dovute flessioni.

3.2.2 Tipi posizionali di morfemi

Quando vengono considerati dal punto di vista posizionale, i morfemi grammaticali possono essere globalmente chiamati affissi e un affìsso è ogni morfema che si combina con una radice.
Esistono diversi tipi di affissi. Gli affissi che, nella struttura della parola, stanno prima della radice si chiamano ‘prefissi’; quelli che stanno dopo la radice si chiamano ‘suffissi’. In inutile, ad es., in- è un prefisso (dal significato negativo ‘non’); in cambiamento, -ament- e -o sono suffissi, l’uno con valore derivazionale, l’altro con valore flessionale.
I suffissi con valore flessionale, in italiano sempre nell’ultima posizione dopo la radice e gli eventuali suffissi derivazionali, si chiamano desinenze: -o è quindi una desinenza. In italiano, ovviamente, i prefissi sono sempre derivazionali.
La distinzione tra prefissi e suffissi è certamente quella fondamentale. In altre lingue, tuttavia, esistono altri tipi di affissi come gli infissi, che sono affissi inseriti dentro radice. In italiano, non esistono se non in casi come quello di -ic- in cuoricino, campicello, ecc. Un altro tipo di morfemi discontinui sono i ‘circonfissi’, affissi formati da due parti, una prima della radice l’altra dopo: ad es., l’affisso del participio passato in tedesco ge-t come in gesagt (‘detto’, da sagen ‘dire’).
A un livello di maggior precisione può essere fatta una ‘trascrizione morfematica’, in cui la forma dei morfemi si può scrivere tra graffe { } indicando nella riga sottostante (con sigle e abbreviazioni in maiuscoletto - le c.d. glosse) nel caso dei morfemi grammaticali, il loro significato e valore. Ad es., dentale può essere rappresentato:      
{dent}-    -{al}-    -{e}
‘dente’     agg       sg           (N.B. per le glosse consulta p. XI)

In alcune lingue esistono poi gli affissi che si incastrano alternativamente (‘a pettine’) nella radice dando discontinuità sia all’affisso che alla radice: sono i c.d. transfissi (molto diffusi nella lingua araba).

 3.2.3 Altri tipi di morfemi

La fenomenologia delle realizzazioni morfematiche è molto varia e può mostrarsi ancora ben più  complessa. Esistono per esempio anche morfemi i cui morfi non sono isolabili segmentalmente. Di questo genere sono i morfemi detti ‘sostitutivi’, perché si manifestano con la sostituzione dì un fono ad un altro fono. Tali morfemi..


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