mercoledì 2 settembre 2015

Berruto/Cerruti - Linguistica generale. 7. Mutamento e variazione delle lingue



G. Berruto M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo (Utet 2011)


Cap. 7 Mutamento e variazione delle lingue

7.1 La lingua lungo l’asse del tempo

7.1.1 Il mutamento linguistico

Una proprietà evidente delle lingue, come entità calate negli usi di una comunità sociale, è costituita dalla variazione. Una lingua non è un blocco uniforme, ma si presenta sotto forme diverse e mostra sempre modi diversi di realizzazione e usi differenti. Tale differenziazione è anzitutto visibile lungo l'asse del tempo, nella diacronia (cfr. § 1.4.1).
In relazione al passare del tempo le strutture e i paradigmi si modificano; nascono nuove abitudini, nuove parole, nuovi costrutti. All'insieme di questi mutamenti si dà il nome di mutamento linguistico e il settore della linguistica che se ne occupa è la linguistica storica (o linguistica diacronica), attenta alle vicende della lingua come organismo o istituzione che vive nel tempo.
Come fenomeno che avviene nella diacronia, il mutamento linguistico è più veloce del mutamento genetico, biologico, ma è più lento dei mutamenti socio-culturali e molto più lento dei mutamenti del costume e della moda e richiede in genere lo spazio di più di una generazione.
I cambiamenti sono graduali e progressivi, e conferiscono a uno 'stato di lingua' un aspetto percepibilmente diverso rispetto allo 'stato' della stessa lingua in un periodo precedente.
Cambiamenti locali multipli possono infine sommarsi e ingrandire le differenze fino a quando uno stato di lingua risulti così cambiato da non essere più riconoscibile: si è così in presenza di una nuova lingua.
Questo per esempio è il caso dell'italiano che, nato dal latino, per una somma di mutamenti, si è sviluppato con forme e strutture sensibilmente diverse. Il fenomeno è avvenuto gradualmente, fra il III sec. e l'Alto Medioevo, e ha trovato il suo riconoscimento esteriore quando, fra il X e l'XI sec le nuove lingue, i 'volgari', hanno cominciato ad essere documentate in usi scritti. Il primo documento in volgare italiano è il cosiddetto Placito capuano (960), una testimonianza riportata in un verbale notarile, in latino, relativo a certi possedimenti terrieri del monastero benedettino di Montecassino.
Il mutamento linguistico inizia con un'innovazione, prosegue con una fase in cui l'innovazione si diffonde, può essere accettata dalla comunità parlante ed avere successo fino a soppiantare totalmente l'elemento preesistente.
Le cause e i fattori del mutamento linguistico sono molteplici. Vi sono sia motivazioni interne alla lingua, sia fatti esterni ad essa (ambientali, storici, socioculturali). Ogni cambiamento significativo nell'ambiente, nell'evoluzione economica, nello sviluppo socioculturale (guerre, migrazioni, scoperte, svolte tecnologiche) può essere un fattore extralinguistico, una causa esterna scatenante di mutamenti linguistici, comprese la decadenza, o morte di lingue.
Spesso la lingua che si estingue lascia tracce sulla lingua che le subentra, nella fonetica, nella morfosintassi, nel lessico: si tratta di fenomeni di sostrato. 'Sostrato' è infatti il termine che si impiega per indicare in generale l'influenza di una lingua precedente sulla lingua successiva.
La presenza di vocali anteriori arrotondate (come ad es. [y] in [tyt] ‘tutto’) nei dialetti dell'Italia Nord-Ovest viene riportata a un presunto sostrato celtico, così come l'assimilazione di -nd- in -nn- (monne per mondo) nei dialetti centro-meridionali viene ricollegata a un sostrato osco (la lingua italica parlata prima del latino).
Fattori interni del mutamento linguistico sono sia le tendenze del sistema a regolarizzare le strutture, sia le operazioni inconsce del parlante volte a semplificare, sia nella produzione (per maggior facilità articolatoria), sia nella ricezione.
i singoli mutamenti che avvengono in una lingua sembrano tuttavia seguire una logica interna, un percorso coerente che collega secondo una certa direzione preferenziale i vari mutamenti nei diversi settori della lingua. Tale direzione tendenziale del mutamento linguistico è stata chiamata 'deriva' (drift).

7.1.2 Fenomeni del mutamento

Molti fenomeni del mutamento fonetico sono anche validi in sincronia, dando conto dei rapporti fra diverse forme che parole e morfemi possono assumere. Si tenga presente che i simboli > e < valgono, in linguistica storica, rispettivamente per ‘diventa’ e ‘proviene da’. La forma che sta dal lato aperto > della freccia è l'etimo, vale a dire la forma originaria più antica da cui la forma attuale o più recente proviene.
Nel mutamento fonetico, sono molto frequenti fenomeni di assimilazione: due foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a diventare simili mediante l'acquisizione da parte di uno dei due di uno o più tratti comuni con l'altro. L'assimilazione avviene frequentemente nei nessi consonantici: es. dal lat. nocte(m) > all’it. notte (assimilazione regressiva: [k], occlusiva velare sorda, perde il tratto velare e diventa dentale come la consonante che segue [t], occlusiva dentale sorda); dal lat. quando > ['kwannǝ] nei dialetti meridionali (assimilazione progressiva: la [d] si assimila alla consonante nasale che la precede).
L'assimilazione può avvenire anche tra foni non contigui nella catena parlata, come nella metafonia, termine che indica la modificazione del timbro di una vocale interna per effetto della vocale finale, come avviene per es. nel napoletano ['niro] ‘nero’ dal lat. nigru(m), ['nera] ‘nera’ dal lat. nigra(m).
È un caso di assimilazione anche 1’‘armonia vocalica', come si ha per es. in turco, dove la vocale della radice lessicale influenza il timbro delle vocali dei suffissi a questa aggiunti, che ne assumono tratti.
Esiste anche il fenomeno contrario all'assimilazione, la dissimilazione, che si ha quando due foni simili o uguali non contigui in una parola diventano diversi: es. dal lat. venenu(m) si ha l’it. veleno, con dissimilazione (regressiva) delle due [n] dell'etimo latino; dal lat. arbore(m) si ha l’it. albero, con dissimilazione anch'essa regressiva delle due [r].
Altri fenomeni di mutamento fonetico nel passaggio dal latino alle lingue romanze sono:
a)      la metatesi, spostamento dell'ordine dei foni di una parola (ad es. l’it. fìaba, che presuppone una forma latina volgare flaba non attestata, proviene dal lat. fabula(m), con trasposizione di l dall'ultima sillaba alla prima;
b)      la soppressione o caduta di foni, in particolare di vocali, in una parola. Queste possono avvenire in posizione iniziale, 'aferesi' (dal lat. apothéca(m) all’it. bottega); in posizione interna, 'sincope' (es. dal lat. domina(m) all’it. donna, con concomitante assimilazione di -mn- in -nn-); in posizione finale, 'apocope' (dal lat. civitate(m) all’it. città. Cadute di foni si hanno anche nella semplificazione di nessi consonantici articolatoriamente complessi: es. dal lat. obstaculum all’it. ostacolo (in cui -bst- diviene -st-).  Particolarmente drastico è il fenomeno della caduta di foni nel passaggio dal latino a dialetti italiani settentrionali (es. dal lat. calidu(m) ‘caldo’ al piemontese [kɑwd];
c)      l'inserzione o aggiunta di foni (fenomeno contrario al precedente) nel corpo di una parola, 'epentesi', (ad es. dal lat. baptismum all’it. battesimo, con concomitante assimilazione di -pt- in -tt-), all’inizio, 'protesi' (o 'prostesi'), (es. dal lat. statu(m) allo sp. estado ‘stato’); alla fine, 'epitesi' (es. dal lat. cor all’it. cuore, dove si attiva un altro fenomeno fonetico, la dittongazione di o tonica latina in -uo- [wo]).

A livello fonologico, fenomeni ricorrenti sono:
a)      allofoni di un fonema acquisiscono valore distintivo e diventano fonemi autonomi ('fonologizzazione'): le affricate palatali italiane [tʃ] e [dʒ] sono la probabile evoluzione degli allofoni costituiti dalle realizzazioni palatalizzate dei fonemi latini /k/ e /g/ (il lat. cingere /'kingere/, pronunciato ['k'iŋg'ere], dà l'it. /'tʃindʒere/);
b)      fonemi perdono il loro valore distintivo e diventano allofoni di un altro fonema ('defonologizzazione'), che porta anche a una fusione di fonemi: è il caso tipico delle vocali lunga e breve (notate per il latino con un apposito segno diacritico sovrapposto alla vocale, ā = a lunga, ă = a breve) fonemi diversi in latino, che in italiano si fondono in un solo fonema /a/;
c)      perdita di fonemi: l'approssimante laringale del latino /h/ (habere ‘avere’) è scomparsa in italiano, dove alla lettera h non è associata alcuna realtà fonica; è rimasto un mero relitto grafico, come nelle voci del verbo avere ho, hai, ha o come simbolo sussidiario nei digrammi ch e gh che rappresentano le occlusive velari sorda e sonora davanti a vocale anteriore (es. chilo, dighe).
Questi fenomeni, e altri qui non menzionati, possono portare al mutamento dell'inventario fonematico di una lingua. L'italiano, rispetto al latino, ha per es., per quanto riguarda le consonanti, una nuova serie di fonemi palatali: la fricativa sorda (/ʃ/), le affricate (/tʃ/ e /dʒ/), la laterale (/ʎ/), la nasale (/ɲ/).
I mutamenti fonetici-fonologici possono anche consistere in spostamenti a catena. Fra i più noti vi sono le cosiddette 'rotazioni consonantiche’. La prima di queste (nota come ‘legge di Grimm') riguarda il passaggio delle occlusive sorde a fricative sorde, delle occlusive sonore a occlusive sorde e delle occlusive sonore aspirate a occlusive o fricative sonore, e caratterizza il ramo germanico. La seconda rotazione caratterizza invece l'evoluzione del tedesco: le occlusive sorde p, t, k diventano affricate in inizio di parola e in posizione postconsonantica (cfr. ted. zehn ‘dieci’ e Herz ‘cuore’, rispetto a ten e heart dell'inglese, che non conosce la seconda rotazione), e fricative in posizione postvocalica (ted. Wasser ‘acqua’ vs. ingl. water); le fricative sonore diventate occlusive passano a sorde (ted. Gott ‘dio’ vs. ingl. god) e la fricativa dentale sorda diventa occlusiva sonora (ted. Bruder ‘fratello’ vs. ingl. brother).

Nella morfologia, possono cadere categorie morfologiche e nascerne di nuove, e i morfemi cambiare impiego. Nel passaggio dal latino all'italiano viene a perdersi la categoria flessionale del caso (cfr. § 3.4): mentre per es. in latino si distingue lupus nominativo (caso del soggetto) da lupum accusativo (caso del complemento oggetto), in it. lupo è indifferenziato per caso. Nella categoria del genere, si perde il neutro, e i sostantivi neutri del latino vengono di solito riportati al genere maschile.
Uno dei principali meccanismi che agiscono nella morfologia è l'analogia, cioè l'estensione di forme a contesti in cui non sono appropriate. Per es., in it. un infinito come volere non può provenire dall'infinito lat. velle (irregolare) ma risulta dall'applicazione a un caso che non la prevedeva della desinenza regolare comune ai verbi della seconda coniugazione -ere. L'analogia è quindi solitamente regolarizzante, cioè crea simmetria eliminando le eccezioni.
Fenomeni importanti e interessanti sono la rianalisi e la grammaticalizzazione. Un esempio classico di rianalisi è la formazione nelle lingue romanze del passato prossimo (o passato composto), inesistente in latino. La nascita di questo nuovo tempo verbale implica una diversa analisi e interpretazione del valore semantico del comportamento sintattico del verbo habere, che in latino ha solo il valore di verbo pieno, col significato di ‘possedere’.
Avviene anche il passaggio del verbo habere da parola piena (con significato lessicale autonomo, vd. § 5.1) a parola vuota (verbo ausiliare), cioè un tipico fenomeno di grammaticalizzazione. Per grammaticalizzazione si intende il mutamento per cui un elemento del lessico diventa un elemento della grammatica: un lessema perde il suo valore semantico lessicale e viene assorbito dalla grammatica, come parola funzionale o come morfema. È un caso di grammaticalizzazione per es. anche il modulo di formazione degli avverbi in italiano: il suffisso derivazionale -mente infatti non è altro che il sostantivo latino mens, mentis ‘mente, spirito’.
I fenomeni più rilevanti nel mutamento sintattico concernono di solito l'ordine dei costituenti. Il mutamento sintattico coincide quindi con un mutamento tipologico. Nel latino, che ha comunque un ordine non marcato, basico, di tipo SOV (predeterminante, costruisce a sinistra, con ordine modificatore-testa), normalmente il complemento oggetto precede il verbo, l'aggettivo precede il nome, l'avverbio precede il verbo, il complemento... Le lingue romanze sono invece di tipo SVO e l’ordine dei costituenti è ovviamente diverso da quello previsto dal latino.

Nella semantica lessicale, il mutamento si manifesta in primo luogo come arricchimento del lessico con l'ingresso nell'inventario dei lessemi di una lingua di nuove unità ('neologismi').
L'arricchimento del lessico può avvenire a partire da lessemi già esistenti: con i suffissi molto produttivi -ism- e -st-
(da buono, per es., si sono coniati buonismo e buonista) o ricorrendo a materiali di altre lingue nelle forme del prestito (ad es. chattare dall’ingl. chat).
Avviene lungo l'asse del tempo anche il fenomeno opposto, la perdita di lessemi. Molte parole latine, ad es., si sono perdute, non hanno lasciato tracce in italiano (per es. cunctus ‘tutto intero’) e durante i secoli l'italiano ha perduto parole che esistevano in italiano antico (per es. donzello ‘giovane uomo di nobile famiglia’).
Avvengono poi cambiamenti (trasferimenti, estensioni, riduzioni) nelle associazioni tra significanti o significati, quando un diverso significante è riferito a un significato esistente, o viene attribuito un nuovo significato a un significante esistente, in primo luogo rapporti di somiglianza (metafora) (ad es. it. antico gentile ‘nobile’, it. moderno ‘cortese’) e rapporti di contiguità (metonimia; ad es. dal lat. volumen ‘rotolo di pergamena’ abbiamo l’it. volume ‘libro’).
Reinterpretazione interessante, analoga alla rianalisi nella morfosintassi, è la cosiddetta paretimologia, o etimologia popolare, cioè la risemantizzazione di una parola mediante la rimotivazione del suo significato attraverso l'apparentamento a una parola nota: ad es. il passaggio dal lat. cubare ‘giacere’ all’ it. covare ‘stare accovacciato sulle uova’, è ricollegato al lat. ovum ‘uovo’.
Spesso quello che cambia è l'area semantica coperta da una parola (e quindi il suo ambito di impiego): così si hanno estensioni o generalizzazioni (come nel lat. domina ‘signora, padrona di casa’ - da domus ‘casa’ - all’it. donna) o, al contrario, restringimenti o specializzazioni (come nel lat. domus ‘casa’ all’it. duomo ‘casa del Signore’, ‘cattedrale’.
In questo ambito rientrano anche i mutamenti semantici per tabuizzazione (da tabu), che riguardano l'interdizione di parole relative a determinate sfere semantiche che vengono sostituite da altre parole di significato non diretto (dette pertanto 'eufemismi', dal gr. ‘parlar bene’).
I mutamenti possono anche coinvolgere campi semantici (cfr. § 5.3.4), portando a una loro ristrutturazione. In latino per es. il campo semantico dei colori era strutturato secondo una distinzione di brillantezza e intensità. Ater era ‘nero’, come gamma cromatica, niger, come ‘nero brillante’; albus era ‘bianco’, come gamma cromatica, o candidus, come ‘bianco brillante’. L'opposizione si è mantenuta in italiano per il ‘bianco’, con bianco opposto a candido, mentre si è annullata per il ‘nero’, ridotto al solo nero (da nigru(m)).
Mutamenti si hanno anche nella pragmatica. Nel modo in cui si interagisce con gli interlocutori, il sistema dell'allocuzione (cfr. § 5.1) è passato dal latino tu sing. vos plurale, alla bipartizione italiana dapprima fra tu allocutivo confidenziale e voi (con referenza singolare) allocutivo di rispetto; poi, fra Cinquecento e Seicento, a una tripartizione tra tu di confidenza e solidarietà, voi di cortesia e lei di formalità, finché in italiano moderno...


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