G. Berruto M.
Cerruti, La linguistica. Un
corso introduttivo (Utet 2011)
Cap. 7 Mutamento
e variazione delle lingue
7.1 La lingua lungo l’asse
del tempo
7.1.1 Il
mutamento linguistico
Una
proprietà evidente delle lingue, come entità calate negli usi di una comunità
sociale, è costituita dalla variazione. Una lingua non è un blocco uniforme, ma
si presenta sotto forme diverse e mostra sempre modi diversi di realizzazione e
usi differenti. Tale differenziazione è anzitutto visibile lungo l'asse del
tempo, nella diacronia (cfr. §
1.4.1).
In
relazione al passare del tempo le strutture e i paradigmi si modificano;
nascono nuove abitudini, nuove parole, nuovi costrutti. All'insieme di questi
mutamenti si dà il nome di mutamento
linguistico e il settore della linguistica che se ne occupa è la linguistica storica (o linguistica
diacronica), attenta alle vicende della lingua come organismo o istituzione che
vive nel tempo.
Come
fenomeno che avviene nella diacronia, il mutamento linguistico è più veloce del
mutamento genetico, biologico, ma è più lento dei mutamenti socio-culturali e
molto più lento dei mutamenti del costume e della moda e richiede in genere lo
spazio di più di una generazione.
I
cambiamenti sono graduali e progressivi, e conferiscono a uno 'stato di lingua'
un aspetto percepibilmente diverso rispetto allo 'stato' della stessa lingua in
un periodo precedente.
Cambiamenti
locali multipli possono infine sommarsi e ingrandire le differenze fino a quando
uno stato di lingua risulti così
cambiato da non essere più riconoscibile: si è così in presenza di una nuova
lingua.
Questo
per esempio è il caso dell'italiano che, nato dal latino, per una somma di
mutamenti, si è sviluppato con forme e strutture sensibilmente diverse. Il
fenomeno è avvenuto gradualmente, fra il III sec. e l'Alto Medioevo, e ha
trovato il suo riconoscimento esteriore quando, fra il X e l'XI sec le nuove
lingue, i 'volgari', hanno cominciato
ad essere documentate in usi scritti. Il primo documento in volgare italiano è
il cosiddetto Placito capuano (960),
una testimonianza riportata in un verbale notarile, in latino, relativo a certi
possedimenti terrieri del monastero benedettino di Montecassino.
Il
mutamento linguistico inizia con un'innovazione, prosegue con una fase in cui
l'innovazione si diffonde, può essere accettata dalla comunità parlante ed
avere successo fino a soppiantare totalmente l'elemento preesistente.
Le
cause e i fattori del mutamento linguistico sono molteplici. Vi sono sia motivazioni
interne alla lingua, sia fatti esterni ad essa (ambientali, storici,
socioculturali). Ogni cambiamento significativo nell'ambiente, nell'evoluzione
economica, nello sviluppo socioculturale (guerre, migrazioni, scoperte, svolte
tecnologiche) può essere un fattore extralinguistico, una causa esterna
scatenante di mutamenti linguistici, comprese la decadenza, o morte di lingue.
Spesso
la lingua che si estingue lascia tracce sulla lingua che le subentra, nella
fonetica, nella morfosintassi, nel lessico: si tratta di fenomeni di sostrato. 'Sostrato'
è infatti il termine che si impiega per indicare in generale l'influenza di una
lingua precedente sulla lingua successiva.
La
presenza di vocali anteriori arrotondate (come ad es. [y] in [tyt] ‘tutto’) nei
dialetti dell'Italia Nord-Ovest viene riportata a un presunto sostrato celtico,
così come l'assimilazione di -nd- in -nn- (monne per mondo) nei
dialetti centro-meridionali viene ricollegata a un sostrato osco (la lingua
italica parlata prima del latino).
Fattori
interni del mutamento linguistico sono sia le tendenze del sistema a
regolarizzare le strutture, sia le operazioni inconsce del parlante volte a
semplificare, sia nella produzione (per maggior facilità articolatoria), sia
nella ricezione.
i
singoli mutamenti che avvengono in una lingua sembrano tuttavia seguire una
logica interna, un percorso coerente che collega secondo una certa direzione
preferenziale i vari mutamenti nei diversi settori della lingua. Tale direzione
tendenziale del mutamento linguistico è stata chiamata 'deriva' (drift).
7.1.2 Fenomeni del mutamento
Molti
fenomeni del mutamento fonetico sono anche validi in sincronia, dando
conto dei rapporti fra diverse forme che parole e morfemi possono assumere. Si
tenga presente che i simboli > e < valgono, in linguistica storica,
rispettivamente per ‘diventa’ e ‘proviene da’. La forma che sta dal lato aperto
> della freccia è l'etimo, vale a
dire la forma originaria più antica da cui la forma attuale o più recente
proviene.
Nel
mutamento fonetico, sono molto frequenti fenomeni di assimilazione: due
foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a diventare
simili mediante l'acquisizione da parte di uno dei due di uno o più tratti
comuni con l'altro. L'assimilazione avviene frequentemente nei nessi
consonantici: es. dal lat. nocte(m)
> all’it. notte (assimilazione
regressiva: [k], occlusiva velare sorda, perde il tratto velare e diventa
dentale come la consonante che segue [t], occlusiva dentale sorda); dal lat. quando > ['kwannǝ] nei dialetti
meridionali (assimilazione progressiva: la [d] si assimila alla consonante
nasale che la precede).
L'assimilazione
può avvenire anche tra foni non contigui nella catena parlata, come nella metafonia, termine che indica la
modificazione del timbro di una vocale interna per effetto della vocale finale,
come avviene per es. nel napoletano ['niro] ‘nero’ dal lat. nigru(m), ['nera] ‘nera’ dal lat. nigra(m).
È
un caso di assimilazione anche 1’‘armonia vocalica', come si ha per es. in
turco, dove la vocale della radice lessicale influenza il timbro delle vocali
dei suffissi a questa aggiunti, che ne assumono tratti.
Esiste
anche il fenomeno contrario all'assimilazione, la dissimilazione, che si ha quando due foni simili o uguali non
contigui in una parola diventano diversi: es. dal lat. venenu(m) si ha l’it. veleno,
con dissimilazione (regressiva) delle due [n] dell'etimo latino; dal lat. arbore(m) si ha l’it. albero, con dissimilazione anch'essa
regressiva delle due [r].
Altri
fenomeni di mutamento fonetico nel passaggio dal latino alle lingue
romanze sono:
a) la metatesi,
spostamento dell'ordine dei foni di una parola (ad es. l’it. fìaba, che presuppone una forma latina
volgare flaba non attestata, proviene
dal lat. fabula(m), con trasposizione
di l dall'ultima sillaba alla prima;
b) la soppressione o caduta
di foni, in particolare di vocali, in una parola. Queste possono avvenire
in posizione iniziale, 'aferesi'
(dal lat. apothéca(m) all’it. bottega); in posizione interna, 'sincope' (es. dal lat. domina(m) all’it. donna, con concomitante assimilazione di -mn- in -nn-); in
posizione finale, 'apocope' (dal
lat. civitate(m) all’it. città. Cadute di foni si hanno anche
nella semplificazione di nessi consonantici articolatoriamente complessi: es.
dal lat. obstaculum all’it. ostacolo (in cui -bst- diviene -st-). Particolarmente drastico è il fenomeno della
caduta di foni nel passaggio dal latino a dialetti italiani settentrionali (es.
dal lat. calidu(m) ‘caldo’ al piemontese
[kɑwd];
c) l'inserzione o aggiunta
di foni (fenomeno contrario al precedente) nel corpo di una parola, 'epentesi', (ad es. dal lat. baptismum all’it. battesimo, con concomitante assimilazione di -pt- in -tt-),
all’inizio, 'protesi' (o
'prostesi'), (es. dal lat. statu(m)
allo sp. estado ‘stato’); alla fine, 'epitesi' (es. dal lat. cor all’it. cuore, dove si attiva un altro fenomeno fonetico, la dittongazione
di o tonica latina in -uo- [wo]).
A
livello fonologico, fenomeni
ricorrenti sono:
a) allofoni di un fonema acquisiscono valore distintivo e
diventano fonemi autonomi ('fonologizzazione'):
le affricate palatali italiane [tʃ] e [dʒ] sono la probabile evoluzione degli
allofoni costituiti dalle realizzazioni palatalizzate dei fonemi latini /k/ e
/g/ (il lat. cingere /'kingere/,
pronunciato ['k'iŋg'ere], dà l'it. /'tʃindʒere/);
b) fonemi perdono il loro valore distintivo e diventano
allofoni di un altro fonema ('defonologizzazione'),
che porta anche a una fusione di fonemi: è il caso tipico delle vocali lunga e
breve (notate per il latino con un apposito segno diacritico sovrapposto alla
vocale, ā = a lunga, ă = a breve) fonemi diversi in latino, che
in italiano si fondono in un solo fonema /a/;
c) perdita di
fonemi: l'approssimante laringale del
latino /h/ (habere ‘avere’) è
scomparsa in italiano, dove alla lettera h non è associata alcuna realtà
fonica; è rimasto un mero relitto grafico, come nelle voci del verbo avere ho, hai, ha o come simbolo sussidiario
nei digrammi ch e gh che rappresentano le occlusive velari
sorda e sonora davanti a vocale anteriore (es. chilo, dighe).
Questi
fenomeni, e altri qui non menzionati, possono portare al mutamento
dell'inventario fonematico di una lingua. L'italiano, rispetto al latino, ha
per es., per quanto riguarda le consonanti, una nuova serie di fonemi palatali:
la fricativa sorda (/ʃ/), le affricate (/tʃ/ e /dʒ/), la laterale (/ʎ/), la nasale
(/ɲ/).
I mutamenti
fonetici-fonologici possono anche consistere in spostamenti a catena. Fra i più
noti vi sono le cosiddette 'rotazioni
consonantiche’. La prima di queste (nota come ‘legge di Grimm') riguarda il
passaggio delle occlusive sorde a fricative sorde, delle occlusive sonore a
occlusive sorde e delle occlusive sonore aspirate a occlusive o fricative
sonore, e caratterizza il ramo germanico. La seconda rotazione caratterizza
invece l'evoluzione del tedesco: le occlusive sorde p, t, k diventano affricate
in inizio di parola e in posizione postconsonantica (cfr. ted. zehn ‘dieci’ e Herz ‘cuore’, rispetto a ten e
heart dell'inglese, che non conosce
la seconda rotazione), e fricative in posizione postvocalica (ted. Wasser ‘acqua’ vs. ingl. water); le fricative sonore diventate
occlusive passano a sorde (ted. Gott ‘dio’
vs. ingl. god) e la fricativa dentale
sorda diventa occlusiva sonora (ted. Bruder
‘fratello’ vs. ingl. brother).
Nella
morfologia, possono cadere categorie morfologiche e nascerne di nuove, e
i morfemi cambiare impiego. Nel passaggio dal latino all'italiano viene a
perdersi la categoria flessionale del caso (cfr. § 3.4): mentre per es. in
latino si distingue lupus nominativo
(caso del soggetto) da lupum
accusativo (caso del complemento oggetto), in it. lupo è indifferenziato per caso. Nella categoria del genere, si
perde il neutro, e i sostantivi neutri del latino vengono di solito riportati
al genere maschile.
Uno
dei principali meccanismi che agiscono nella morfologia è l'analogia, cioè l'estensione di forme a
contesti in cui non sono appropriate. Per es., in it. un infinito come volere non può provenire dall'infinito
lat. velle (irregolare) ma risulta
dall'applicazione a un caso che non la prevedeva della desinenza regolare
comune ai verbi della seconda coniugazione -ere. L'analogia è quindi
solitamente regolarizzante, cioè crea simmetria eliminando le eccezioni.
Fenomeni
importanti e interessanti sono la rianalisi e la grammaticalizzazione. Un
esempio classico di rianalisi è la formazione nelle lingue romanze del
passato prossimo (o passato composto), inesistente in latino. La nascita di
questo nuovo tempo verbale implica una diversa analisi e interpretazione del
valore semantico del comportamento sintattico del verbo habere, che in
latino ha solo il valore di verbo pieno, col significato di ‘possedere’.
Avviene
anche il passaggio del verbo habere
da parola piena (con significato lessicale autonomo, vd. § 5.1) a parola vuota
(verbo ausiliare), cioè un tipico fenomeno di grammaticalizzazione. Per grammaticalizzazione si intende il
mutamento per cui un elemento del lessico diventa un elemento della grammatica:
un lessema perde il suo valore semantico lessicale e viene assorbito dalla
grammatica, come parola funzionale o come morfema. È un caso di
grammaticalizzazione per es. anche il modulo di formazione degli avverbi in
italiano: il suffisso derivazionale -mente
infatti non è altro che il sostantivo latino mens, mentis ‘mente,
spirito’.
I
fenomeni più rilevanti nel mutamento
sintattico concernono di solito l'ordine dei costituenti. Il mutamento
sintattico coincide quindi con un mutamento tipologico. Nel latino, che ha
comunque un ordine non marcato, basico, di tipo SOV (predeterminante, costruisce
a sinistra, con ordine modificatore-testa), normalmente il complemento oggetto
precede il verbo, l'aggettivo precede il nome, l'avverbio precede il verbo, il
complemento... Le lingue romanze sono invece di tipo SVO e l’ordine dei
costituenti è ovviamente diverso da quello previsto dal latino.
Nella
semantica lessicale, il mutamento si manifesta in primo luogo come
arricchimento del lessico con l'ingresso nell'inventario dei lessemi di una
lingua di nuove unità ('neologismi').
L'arricchimento
del lessico può avvenire a partire da lessemi già esistenti: con i suffissi
molto produttivi -ism- e -st-
(da
buono, per es., si sono coniati buonismo e buonista) o
ricorrendo a materiali di altre lingue nelle forme del prestito (ad es. chattare
dall’ingl. chat).
Avviene
lungo l'asse del tempo anche il fenomeno opposto, la perdita di lessemi.
Molte parole latine, ad es., si sono perdute, non hanno lasciato tracce in
italiano (per es. cunctus ‘tutto intero’) e durante i secoli l'italiano
ha perduto parole che esistevano in italiano antico (per es. donzello ‘giovane
uomo di nobile famiglia’).
Avvengono
poi cambiamenti (trasferimenti, estensioni, riduzioni) nelle associazioni tra
significanti o significati, quando un diverso significante è riferito a un
significato esistente, o viene attribuito un nuovo significato a un
significante esistente, in primo luogo rapporti di somiglianza
(metafora) (ad es. it. antico gentile ‘nobile’, it. moderno ‘cortese’) e
rapporti di contiguità (metonimia; ad es. dal lat. volumen ‘rotolo
di pergamena’ abbiamo l’it. volume ‘libro’).
Reinterpretazione
interessante, analoga alla rianalisi nella morfosintassi, è la cosiddetta paretimologia,
o etimologia popolare, cioè la risemantizzazione di una parola mediante la
rimotivazione del suo significato attraverso l'apparentamento a una parola
nota: ad es. il passaggio dal lat. cubare ‘giacere’ all’ it. covare
‘stare accovacciato sulle uova’, è ricollegato al lat. ovum ‘uovo’.
Spesso
quello che cambia è l'area semantica coperta da una parola (e quindi il suo
ambito di impiego): così si hanno estensioni o generalizzazioni (come nel
lat. domina ‘signora, padrona di casa’ - da domus ‘casa’ - all’it.
donna) o, al contrario, restringimenti o specializzazioni (come nel
lat. domus ‘casa’ all’it. duomo ‘casa del Signore’, ‘cattedrale’.
In
questo ambito rientrano anche i mutamenti semantici per tabuizzazione
(da tabu), che riguardano l'interdizione di parole relative a determinate
sfere semantiche che vengono sostituite da altre parole di significato non
diretto (dette pertanto 'eufemismi', dal gr. ‘parlar bene’).
I
mutamenti possono anche coinvolgere campi semantici (cfr. § 5.3.4),
portando a una loro ristrutturazione. In latino per es. il campo semantico dei
colori era strutturato secondo una distinzione di brillantezza e intensità. Ater
era ‘nero’, come gamma cromatica, niger, come ‘nero brillante’; albus
era ‘bianco’, come gamma cromatica, o candidus, come ‘bianco brillante’.
L'opposizione si è mantenuta in italiano per il ‘bianco’, con bianco opposto
a candido, mentre si è annullata per il ‘nero’, ridotto al solo nero
(da nigru(m)).
Mutamenti
si hanno anche nella pragmatica. Nel modo in cui si interagisce con gli
interlocutori, il sistema dell'allocuzione (cfr. § 5.1) è passato dal
latino tu sing. vos plurale, alla bipartizione italiana dapprima
fra tu allocutivo confidenziale e voi (con referenza singolare)
allocutivo di rispetto; poi, fra Cinquecento e Seicento, a una tripartizione
tra tu di confidenza e solidarietà, voi di cortesia e lei
di formalità, finché in italiano moderno...
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(o copialo nella barra indirizzi):
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