G. Berruto M.
Cerruti, La linguistica. Un
corso introduttivo (Utet 2011)
Cap. 6 Le lingue
del mondo
6.1 Le lingue
del mondo
Le
lingue storico-naturali sono diverse migliaia anche se in certe aree
geografiche sono tuttora insufficientemente studiate (Il Summer Institute of Linguistics di Dallas ne ha censite 6.900). Non
è semplice tuttavia stabilire se diverse parlate tra loro simili siano da considerarsi
varietà o dialetti di una stessa lingua oppure sono lingue a sé stanti.
L'Italia
è in questo senso un caso esemplare. Intanto, oltre alla lingua nazionale
comune (l’italiano standard) esistono anche le lingue delle minoranze parlate da gruppi più o meno consistenti di
parlanti in alcune aree del paese (tedesco, francese, sloveno, ladino dolomitico[1],
neogreco, albanese, serbo-croato, provenzale, franco-provenzale, catalano e
anche il sardo e il ladino friulano).
Inoltre,
anche i dialetti italiani avrebbero le carte in regola per essere considerati
sistemi linguistici a sé stanti, e se
li
calcolassimo come autonomi arriveremmo a una trentina di lingue indigene
presenti in Italia.
La
principale classificazione delle lingue avviene per famiglie, secondo criteri di parentela genealogica, che si
basano
sulla possibilità di riportare un gruppo di lingue ad un antenato comune. La
parentela linguistica è in genere riconosciuta confrontando il lessico
fondamentale, un insieme di circa 200 termini designanti nozioni comuni
(numeri, fenomeni meteo, parti del corpo, azioni quotidiane ecc.). Se per
questi termini troviamo lo stesso o simile significante vorrà dire che questo rimanda
ad una forma originaria condivisa, e che quindi le lingue che lo presentano hanno
un antenato comune.
L'italiano
ha stretti rapporti di parentela con tutte le lingue provenienti dalla comune
base del latino e costituisce insieme a queste il ramo delle lingue romanze (o neolatine) che comprende: italiano, francese,
spagnolo, (castigliano), portoghese, romeno e altre lingue minori come il
gallego, catalano, provenzale retoromanzo nonché svariate varietà dialettali.
Il
ramo romanzo, insieme agli altri rami con cui, sebbene lontanamente, è imparentato
come le lingue germaniche, slave, baltiche, celtiche, indo-arie, iraniche e tre
lingue isolate (neogreco, albanese, armeno) formano la famiglia delle lingue indoeuropee.
La
famiglia è il più alto livello di parentela ricostruibile con i mezzi della
linguistica storico-comparativa, che individua le somiglianze fra le lingue
come prova della loro comunanza dì origine. È quindi la categoria fondamentale
della classificazione delle lingue su base genetica (più tecnicamente, il
livello superiore a quello di famiglia è quello di phylum o stock).
All’interno
di una famiglia di lingue si possono riconoscere dei ‘rami’ (o sottofamiglie) che
possono a loro volta suddividersi in gruppi (e questi in sottogruppi). L’italiano
(e i suoi dialetti) quindi è una lingua del sottogruppo italo-romanzo del
gruppo occidentale (insieme all’iberico-romanzo e al gallo-romanzo) del ramo
neolatino (o romanzo, insieme al ramo germanico, slavo, ecc.) della famiglia indoeuropea.
La
linguistica riconosce oggi diciotto famiglie
linguistiche (cfr. tabella 6.2), più alcune lingue isolate di cui non si
può provare la parentela con le altre lingue. A queste andrebbero aggiunte
alcune decine di lingue pidgin e creole, nate dall’incontro di lingue tra loro estranee
e sviluppatesi ristrutturandosi. Spesso vengono assegnate alla famiglia
linguistica che ha fornito la maggior parte dei materiali lessicali (detta ‘lingua
lessicalizzatrice’).
Fra
i pidgin più noti vi sono il tok pisin (Papua Nuova Guinea), il WAPE[2] (Nigeria
e Ghana), il Chinese Pidgin English (Cina meridionale), il russonersk (mar
Artico), il fanakalo (Sudafrica e Zimbawe); tra i creoli: lo sranam (Suriname),
il krio (Sierra Leone), il giamaicano (Giamaica), il creolo haitiano (Haiti),
il seicellese (Seychelles).
Delle
migliaia di lingue esistenti, soltanto alcune decine possono essere considerate
grandi lingue con un numero cospicuo
di parlanti e appoggiate a una tradizione culturale di ampio prestigio[3].
Per
parlanti nativi di una lingua si
intendono coloro che hanno imparato quella lingua nella socializzazione
primaria e quindi la possiedono come lingua materna.
Certo,
non è in base al numero dei parlanti che si può giudicare l'importanza di una
lingua, ma piuttosto il numero di nazioni in cui la lingua è ufficiale, l’impiego
della lingua nei rapporti internazionali, la tradizione letteraria e culturale
e il relativo prestigio di cui gode la lingua.
In
Europa sono tradizionalmente parlate cinque diverse famiglie linguistiche: oltre
alle lingue indoeuropee (predominanti) troviamo infatti le lingue uraliche del
ramo ugrofinnico (ungherese, finlandese, estone), le lingue altaiche (turco,
tataro), le lingue caucasiche (georgiano, ceceno), le lingue semitiche (ramo
afro-asiatico: il maltese), oltre a una lingua isolata, il basco.
6.2 Tipologia
linguistica
Molto
più importante della classificazione per famiglie è però la classificazione
tipologica.
La
tipologia linguistica si occupa dì individuare
che cosa c'è di uguale e cosa di diverso nel modo in cui le diverse lingue storico-naturali
sono organizzate e strutturate, attuando scelte tra loro compatibili nella
realizzazione di fatti o fenomeni universali. La tipologia è dunque connessa con
lo studio degli universali linguistici,
proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue sia sotto forma di invarianti
necessariamente possedute dalle lingue sia sotto forma di un repertorio di
possibilità. Un universale linguistico (ad es. ‘tutte le lingue hanno vocali e
consonanti’) non è necessariamente tale solo se è manifestato da tutte le
lingue conosciute, quanto piuttosto che non sia contraddetto dalle
caratteristiche di nessuna lingua (sugli universali linguistici cfr. box 6.2).
Sulla
base di tratti strutturali comuni, si possono così classificare le lingue non
più dal punto di vista genealogico, ma dal punto di vista della loro
appartenenza a tipi diversi.
Un
tipo linguistico dunque si può
definire come un insieme di tratti strutturali correlati gli uni con gli altri;
in concreto, equivale a un raggruppamento di sistemi linguistici aventi molti
caratteri comuni.
Certo,
una lingua non corrisponde mai totalmente a un tipo particolare, e insieme alle
caratteristiche tipologiche prevalenti vi si trovano anche caratteri propri di
altri tipi. Un sistema linguistico, in altre parole, realizza fondamentalmente
un tipo linguistico, mescolando però a questo altri tipi linguistici.
6.2.1 Tipologia morfologica
Un
primo modo di individuare tipi linguistici diversi è basato sulla morfologia,
più precisamente sulla struttura della
parola.
A
seconda di come è fatta una parola di una determinata lingua, del rapporto che
c’è tra parole e morfemi, si distinguono quattro tipi morfologici di lingua.
Un
primo tipo morfologico è dato dalle lingue isolanti, quelle in cui la
struttura della parola è la più semplice possibile e tendenzialmente costituita
da un solo morfema e, dunque, il rapporto morfemi/parole (detto indice di sintesi) è generalmente di
1/1. L’indice di sintesi, o numero di morfemi per parola, si ottiene dividendo
in un testo il numero dei morfemi per il numero delle parole: più è basso, e
più il numero dei morfemi tende a coincidere con quello delle parole, più la
lingua è detta ‘analitica’; al contrario, più alto è l’indice, più la lingua è
‘sintetica’.
Il
termine di lingue isolanti si giustifica per il fatto che tali lingue non solo
‘isolano’ in blocchi unitari inscindibili le singole parole, ma esprimono
spesso significati complessi scindendoli, isolandoli appunto, in lessemi
semplici giustapposti. Le lingue isolanti, infatti, non presentano morfologia
flessionale e hanno poca morfologia derivazionale. Inoltre, nel tipo isolante
le parole sono spesso monosillabiche. Tra le lingue isolanti troviamo il vietnamita
(isolante per eccellenza), il cinese, l’hawaiano, ecc.
Anche
l’inglese presenta alcuni caratteri di lingua isolante, grazie soprattutto alla morfologia flessionale assai
ridotta.
Un
secondo tipo morfologico è dato
dalle lingue agglutinanti, in cui le
parole hanno struttura complessa e sono formate dalla giustapposizione di più morfemi.
Presentano quindi un alto indice di sintesi. I morfemi hanno di solito un
valore univoco e all'interno della parola sono facilmente individuabili e ben
separabili gli uni dagli altri. Le parole, dunque, si presentano come strisce
compatte di morfemi ben riconoscibili. Sono lingue agglutinanti il turco,
l’ungherese, il finlandese, il basco, oltre all’artificiale esperanto.
In
una lingua agglutinante, dunque, le parole possono essere anche molto lunghe e
costituite da una radice lessicale a cui sono attaccati più affissi.
Un
terzo tipo morfologico è dato dalle lingue flessive (o fusive), che
presentano parole internamente abbastanza complesse, costituite tendenzialmente
da una base lessicale semplice e da uno o anche più affissi flessionali che
spesso sono morfemi cumulativi, veicolando ciascuno più valori grammaticali
assieme e assommando diverse funzioni. Rispetto alle lingue agglutinanti, hanno
un indice di sintesi minore, cioè le parole hanno una struttura meno complessa
e sono composte da una catena meno lunga di morfemi. Per converso però vi sono
molti fenomeni di allomorfia e di fusione, che amalgamano spesso i singoli
morfemi e li rendono non ben separabili. L'analisi morfematica delle lingue
flessive è resa inoltre disagevole anche dai non rari fenomeni di omonimia,
sinonimia e polisemia di morfemi.
Proprio
per la caratteristica di riunire più significati su un solo morfema flessionale
e di fondere assieme i morfemi rendendo spesso poco trasparente la struttura
interna della parola, tali lingue vengono anche chiamate 'fusive'; mentre il
termine 'flessive' si riferisce alla presenza in esse di molta morfologia
flessionale.
prime 2 pagine di 4 – per continuare segui questo link
(o copialo nella barra indirizzi):
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