giovedì 3 settembre 2015

Georges Mounin, Teoria e storia della traduzione (part IV & V)



Parte Quarta. Le Traduzioni

15. La traduzione religiosa

La traduzione religiosa non è il genere più antico di traduzione: v’era la traduzione diplomatica. Ma con lo sviluppo delle religioni divenne il genere più importante.
La Bibbia ne è l’esempio più stupefacente, ma non il solo: il libri buddisti furono tradotti in cinese, sanscrito, tibetano, mongolo.
A partire dalla versione dei Settanta ve ne furono poi in tutte le lingue (ebraica, caldea, greca, ecc.) ma con l’istituzione della Vulgata (san Gerolamo, V sec.) come unico testo autorizzato la traduzione latina si arrestò. In compenso, le religioni protestanti ne diedero nuove traduzioni e continue revisioni (versione tedesca, calvinista, anglicana), una vera e propria industria.
La traduzione della Bibbia è stata dunque un’attività di notevole portata perché è stata il banco di prova dei problemi teorici sulla traduzione. Infatti, se inizialmente il rispetto della parola divina immobilizzava alla versione letterale, con il Rinascimento la traduzione protestante ha imposto il punto di vista contrario, cioè che ogni traduzione deve essere fedele tanto allo spirito quanto alla lettera del testo.
Questa preoccupazione di dare una traduzione fedele ma intellegibile al lettore di ogni epoca ha condotto a imporre la revisione della Bibbia ogni min 20 max 50 anni (Congresso dei traduttori della Bibbia, 1947).
Altro importante aspetto è il carattere spesso collettivo dell’impresa che poneva come corollario il problema della unità di tono, che in generale veniva salvaguardata dall’unità ideologica del gruppo, come bene aveva visto Lutero.
Occorre dire infine che ogni traduzione discende di qualche strato verso l’originale come in uno scavo archeologico.

16. La traduzione letteraria

Occupa statisticamente il primo posto tra tutti i generi di traduzione. Il problema della traduzione letteraria nacque dal conflitto, già in Cicerone, tra la tradizione sacra della versione letterale e l’abitudine profana del libero adattamento (dal Medioevo al XVIII s.). È l’annoso problema della fedeltà opposto alla bellezza.
Quando Cary suggerisce che la traduzione letteraria è un’operazione letteraria e non linguistica, non afferma che bisogna scegliere un’alternativa (fedeltà o bellezza) ma che bisogna associare le due cose: prima la fedeltà poi la bellezza.
Ma cosa si deve rendere di un testo? La risposta è: il contesto. Ma se l’antica nozione di contesto era chiara (l’insieme degli indizi) oggi la nozione di contesto richiede di farne un inventario, perché c’è il contesto linguistico, geografico, storico, culturale, sociale e per stabilire distinzioni più precise di questi contesti la linguistica ha proposto definizioni più esatte. Anzitutto la nozione di messaggio, cioè l’insieme di significati di un enunciato di natura extralinguistica (storica, geografica, ecc.). Riservando alla nozione di contesto tutte le indicazioni fornite esplicitamente dal testo la linguistica definisce situazione tutte le indicazioni (geografiche, storiche, culturali) non presenti nell’enunciato ma implicite. È dunque priva di qualità la traduzione che non rispetti la fedeltà prima al contesto poi alle situazioni. La linguistica ci ha dato anche l’analisi di tutte le diverse lingue di una lingua (volgare, popolare, gergale, ecc.) definiti ‘registri di lingua’.
Dal tempo in cui la fedeltà di una traduzione letteraria significava tradurre ogni parola con una parola, ora sinonimo di infedeltà del contesto e della situazione, l’analisi linguistica ha riportato qualità alla traduzione letteraria, perché oggi tradurre significa nono solo rispettare il senso strutturale del testo, ma anche il senso globale del messaggio.
Ed ecco la nuovissima definizione di fedeltà di una traduzione. Vinay e Darbelnet distinguono sette modi leciti di traduzione, la quale non è più solo rispetto della forma o del contenuto, ma trasmissione la più esatta possibile del ‘rapporto tra forma e contenuto dell’originale’. Anzitutto l’imprestito (parola straniera), il calco (copia della forma), la traduzione letterale, la trasposizione (traduzione violando il preteso spirito della lingua), la modulazione (cambio del punto di vista), l’adattamento (si traduce una situazione con una analoga).
E dunque merito della linguistica se questi modi di traduzione possano riapparire in una veste più scientifica.
Riguardo la bellezza, per tradurre i poeti bisogna essere poeti, un testo letterario occorre avere stile, ma ciò dipende dal talento e non si può insegnare.
Possiamo dunque dire solo ciò che non si deve fare: evitare le disparità, ossia la mancanza di unità di linguaggio, e tener conto del registro usato nell’originale.
Infine, occorre decidere tra i due registri di traduzione: ad es. un traduttore che traduce in italiano o si ‘italianizza’ il testo, perdendo però il colore della lingua originaria (condurre il testo verso il lettore), o si cerca di estraniare il lettore italiano dal suo mondo senza permettergli di dimenticare che si trova di fronte a un’altra lingua (condurre il lettore verso il testo).


17. La traduzione poetica

La traduzione poetica ha le sue difficoltà peculiari, e a questo si pensa quando si dice che la traduzione è impossibile. Riappare infatti la vecchia disputa tra i ‘professori’, per la fedeltà letterale, e gli ‘artisti’, preoccupati più della fedeltà più profonda da raggiungere.
Ma cosa s’intende per fedeltà poetica? Tradurre esattamente il lessico? La grammatica? Lo stile? La musicalità? In conclusione, lo spirito delle lingue consisterebbe nella loro fonetica? E allora il russo (ricco di sibilanti) esprimerebbe una ‘mentalità sibilante’, l’inglese (ricco di monosillabi) una ‘mentalità monosillabica’? C’è il rischio, in questo caso, di cadere nell’eufonia.

Fedeltà alla poesia
Dunque, per fedeltà poetica si intende la traduzione che sa scegliere le parole-chiave da mostrare, le forme grammaticali e le allitterazioni significative e espressive, saper scegliere i silenzi, le pause o le frasi ellittiche. Tuttavia, siccome ogni lingua ha le sue particolarità, le possibilità inerenti una data letteratura non saranno mai interamente le medesime di un’altra.

Difficoltà della traduzione poetica
La ‘traduziante’, paura di non riuscire a tradurre il significato intero di un testo, spinge spesso ad aggiungere qualcosa e quindi a supertradurre.
Torniamo dunque al vecchio adagio per cui ‘per tradurre una poesia bisogna essere poeti’ soprattutto per capire il testo poetico, le vibrazioni emotive. Ma a ciò si aggiunga che il traduttore-poeta dev’essere anche conoscitore della società da cui quel testo sorge e solo così può raggiungere la comprensione totale di quel testo che vuol tradurre.

18. La traduzione dei libri per bambini

Genere particolare, presenta problemi specifici e insospettate difficoltà, soprattutto quella destinata alla prima età, che pone problemi simili a quelli della traduzione poetica. Per l’importanza che vi hanno i dialoghi, si avvicina invece alla traduzione teatrale, e per l’importanza che hanno le immagini, si avvicina alla traduzione cinematografica.

19. La traduzione teatrale

Abbiamo già accennato all’importanza dei diversi contesti di un enunciato e l’enunciato teatrale è concepito proprio in vista di quei contesti perché scritto in funzione di un pubblico che in sé li riassume conoscendo le situazioni in cui essi si esprimono.
Questo spiega perché la traduzione teatrale sia più rara perché bisogna conoscere a fondo tutti quei contesti che solo chi vive il quotidiano della lingua originaria è possibile conoscere.
Ecco perché di una traduzione teatrale si parla spesso di adattamento, trasposizione o equivalenza.

20. La traduzione per il cinema

Il doppiaggio
Nato con il cinema parlato, già nel cinema muto (in Francia) l’operatore commentava il film ricostruendone i dialoghi. Ma subito sorse il problema dell’isocronia e la necessità di analizzare i diversi movimenti boccali degli attori. Così la fonetica entrava nel cinema: si cominciarono a distinguere  le vocali e le consonanti che fanno aprire la bocca e si cercò l’isocronia delle sillabe, in modo che le battute corrispondessero almeno per il numero di sillabe. Ben presto però tale metodo rivelò subito i suoi limiti: ora il ritmo della voce non quadrava più e a dispetto dell’isocronia sillabica! In inglese infatti la sillaba è più lunga, in italiano le banderitmo recano un testo che è tre volte più fitto di un’altra lingua per via della naturale precipitazione dell’eloquio italiano.
Infine, l’illusione parlata la si cercò attraverso l’isocronia delle sole articolazioni boccali visibili sullo schermo. Anche questo, tuttavia, risultò insufficiente perché alcuni movimenti della bocca (quelli pre- e post-articolari) non sono articolazione linguistica ma semplici smorfie.
Con il ‘sistema della banda’ attuale si elimina dunque la traduzione sillabica fatta senza seguire le immagini: uno specialista mentre guarda il film trascrive su una banda (bandamadre) sincronizzata al film tutto il dialogo riga per riga con tutti i movimenti boccali visibili.
Tuttavia, il doppiaggio presenta altre esigenze, a tal punto che Cary ha potuto affermare che il doppiaggio merita il titolo di traduzione totale.
In realtà l’isocronia delle articolazioni visibili della bocca non basta a un buon doppiaggio: serve anche l’isocronia fra le espressioni mimiche e il testo, fra i gesti e il testo tradotto e ottenere l’isocronia del testo tradotto con tutti gli altri elementi corporei della situazione.

La tecnica delle didascalie
Problema fondamentalmente tecnico, le didascalie non devono superare le 8 lettere e spazi al secondo e ogni didascalia non può superare i 72 segni (9 secondi) e poiché il dialogo originale non è mai così breve, il lavoro del traduttore consiste nel ridurre il testo senza tuttavia allontanarsi dal senso.

La didascalia sonora
È quella usata dagli interpreti quando, in una conferenza, l’applicano come ‘traduzione sussurrata’ utilizzando gli spazi di silenzio del dialogo originale.

21. Le traduzioni tecniche

La traduzione tecnica, ossia tutto ciò che non è traduzione letteraria (poesia, teatro, cinema), è la più vecchia del mondo.

La traduzione diplomatica
Risale ai primi imperi (Egitto, ittiti e assiri). Per secoli in Europa si ebbe il latino come lingua diplomatica (soltanto nel 1672 la Francia dichiarò la preminenza del francese), e conobbe sviluppi grazie alle relazioni che la Francia cominciò ad avere con i turchi (1535) e il mondo arabo, creando corpi appositi di interpreti (gli ‘enfants de langue’) e i dragomanni.
Nello stesso periodo Pietro il Grande creò a Pechino (1727) un seminario di lingue orientali, dove venivano inviati giovani russi detti ‘allievi di lingue’. È tuttavia con il Congresso di Vienna (1815) che la figura dell’interprete prende rilievo. Così Friedrich von Gentz, segretario di Metternich, fu il primo modello dei grandi interpreti e traduttori diplomatici (traduceva indifferentemente per l’Inghilterra, la Francia, la Russia), fra cui citiamo Jean Herbert, poi creatore del corpo di interpreti dell’Onu, e Hans Jacob, interprete capo all’Unesco.

Le traduzioni amministrative
La traduzione amministrativa è vecchia quanto quella diplomatica.
La traduzione giudiziaria è oggi completamente meccanizzata: gli atti vengono tradotti secondo formule stereotipe e tutte uguali.
Quanto alla traduzione militare, in Francia gli interpeti militari sono sorti come erano sorti i dragomanni, cioè con il contatto con le popolazioni arabe al momento della conquista d’Algeria (1930).

La traduzione commerciale
Enorme quanto a volume, presenta anch’essa formule stereotipe e meccanizzate.

La traduzione tecnico-scientifica
Ma a livello non-commerciale e tecnico-scientifico le cose vanno diversamente. Primo problema è che il loro numero è enorme; secondo che non essendovi traduttori specializzati si tende spesso a intraprendere una ricerca piuttosto che tradurre il materiale pubblicato.
Inoltre, anche la traduzione tecnico-scientifica ha i suoi problemi di senso e contenuto. Infatti, se un traduttore letterario commette un errore grossolano, si copre di ridicolo ma nuoce poco all’autore. Il traduttore tecnico invece è ossessionato dagli errori di significato che provocano conseguenze materiali drammatiche se si tratta, ad esempio, di un brevetto d’invenzione.
Per questo, mentre il traduttore letterario diffida del dizionario, il traduttore scientifico lo considera il proprio strumento di lavoro, e ciò ha provocato un’industria dei dizionari specializzati. Col patrocinio dell’Onu è stata all’uopo redatta una bibliografia dei dizionari tecnico-scientifici, aggiornata costantemente dal 1955 dalla rivista “Babel”. Non sono rari i glossari multilingue. 
Ma questa massa di strumenti non basta ancora al lavoro dei traduttori scientifici. Perciò i più abili sono giunti alla convinzione che il miglior dizionario tecnico è un’opera sull’argomento, un buon manuale su cui apprendere rapidamente il lessico necessario.
È stata infine creata un’organizzazione con l’incarico di ‘normalizzare’ e standardizzare il linguaggio scientifico: la International Standards Organizations (ISO), con la sua commissione di unificazione del vocabolario, l’ISO-TC37.


22. Il lavoro dell’interprete

Per secoli i profani hanno sempre confuso tra interprete e traduttore, ponendo il primo a un livello più basso del secondo. Oggi non è più così.

Interprete e traduttore
Oggi l’interprete ha un rango molto più elevato: non è più un anonimo subalterno. D’altronde si tratta di un’attività totalmente diversa dalla traduzione: è una forma orale e istantanea di traduzione.
Il traduttore, infatti, ha tempo (tornare indietro, correggere, rivedere), mentre l’interprete attua una traduzione a prima vista o traduzione a libro aperto; inoltre, dev’essere anche oratore e persino attore, un artista.

Le qualità dell’interprete
Secondo Jean Herbert la qualità fondamentale di un interprete è quella d’essere..


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