Capitolo
2 - I suoni dell’italiano
Nel primo capitolo sono state esposte le
caratteristiche articolatorie e la classificazione dei suoni delle lingue in
base al sistema IPA.
Ora affronteremo la descrizione del sistema
fonetico dell'italiano, a cominciare dall'italiano standard, per proseguire con
le caratteristiche fonetiche intersegmentale e soprasegmentale di alcune
varietà regionali italiane.
1.
L’italiano standard
Per italiano standard intendiamo un livello di
lingua fissato in termini normativi che non corrisponde all'uso effettivo né
nelle sue varietà regionali, né nell'uso individuale di persone reali.
Fino a qualche tempo fa si usava come
riferimento standard il cosiddetto «italiano della RAI», dove venivano applicate
nella lettura le norme della «ortoepia», cioè della pronuncia secondo la
norma standard.
1.1.
Le vocali
Vocalismo tonico
Il sistema vocalico tonico (cioè in sillaba
portatrice dì prominenza accentuale) dell'italiano standard è formato da sette
delle otto vocali cardinali primarie (i e ɛ a ɔ o u; rimane esclusa la
posteriore bassa ɑ) – fig. 1.
La tradizione linguistica romanza e italiana
però hanno sempre preferito una rappresentazione di tipo triangolare e si parla
in genere di triangolo vocalico (fig. 2).
La lunghezza delle vocali toniche nell'italiano
standard è determinata automaticamente da una regola di compensazione
quantitativa. Questa regola stabilisce che una sillaba tonica aperta, cioè
priva di coda consonantica, ha una vocale lunga; viceversa una sillaba tonica
chiusa, cioè con coda consonantica, ha una vocale breve (es. lunga in ca-
di casa, sillaba aperta; breve in cas- di cassa, sillaba
chiusa)
L’allungamento della vocale ‘compensa’ quindi
l’assenza della consonante.
La regola non si applica alle sillabe atone come
in ca- di casetta o cassetta perché l’accento è nella
sillaba che succede. Non più toniche, sono ambedue brevi.
Sono escluse dall'applicazione della regola
anche le sillabe toniche finali dì parola, nelle quali le vocali sono sempre
brevi (es. papà).
In sintesi: sillaba atona (vocale breve);
sillaba tonica finale (vocale breve); sillaba tonica non finale chiusa (vocale
breve; sillaba tonica non finale aperta (vocale lunga).
Vocalismo atono
In sillaba atona, diversamente da quella tonica, l'italiano
standard prevede solo cinque diverse foni vocalici (i e a o u). Cadono infatti
le due medie anteriore e posteriore [ɛ] e [ɔ]. Anche in questo
caso formiamo la rappresentazione dì tipo triangolare.
Le cinque vocali atone in posizione protonica (prima della sillaba
tonica) e postonica (dopo la sillaba tonica) non sono coinvolte
dalla regola di compensazione quantitativa e sono
pertanto sempre brevi, in qualunque posizione siano collocate e quale che sia
il tipo sillabico in cui sono inserite.
Dittonghi
Sì intenda per dittongo una sequenza di due vocali all'interno della
stessa sillaba (cfr. § 3.2 Foni vocalici). Dunque la sequenza consonante
approssimante + vocale frequente in italiano (es. piede, Giulietta,
fuoco, ecc) non rientra in questa categoria, anche se vengono definiti dittonghi
ascendenti, per il crescente grado di apertura.
Viceversa, i dittonghi discendenti, formati da due elementi
vocalici di apertura decrescente, sono veri e propri dittonghi. Il picco
sillabico è ovviamente l’elemento vocalico più aperto, che è il primo membro
del dittongo (es. daino, auto, euro, poi, noi,
ecc).
Infine ci sono i trittonghi, come in
parole come miei, tuoi, quei, che in realtà sono una
sequenza di approssimante + dittongo discendente;
e gli iati, come in paura, boato,
ecc, in cui non c’è dittongo.
1.2.
Le consonanti
II sistema consonantico dell'italiano standard
include tre coppie di occlusive sorde e sonore [p b t d k g], due coppie di
fricative più la prepalatale sorda [f v s z ʃ], due coppie di affricate sorde e
sonore [ts dz tʃ dʒ], una serie di
nasali [m ɱ n ɲ ŋ], le due laterali [1 ʎ], la vibrante [r] e le due
approssimanti [j w].
Occlusive
Le sei consonanti occlusive dell'italiano [p b t
d k g] sono presenti sia come consonanti brevi sia come consonanti lunghe
nell'italiano standard: p. es. in coppa, ebbi, petto, ecc.
Le occlusive velari [k g] sono
interessate da un fenomeno di coarticolazione: davanti alle vocali anteriori [ɛ
e i] e all'approssimante palatale [j], ne anteriorizzano il luogo di
articolazione assimilandolo a quello palatale di queste vocali. Il fenomeno di
coarticolazione è particolarmente evidente davanti a [i] e a [j]. Il risultato
è che vengono a realizzarsi, in luogo delle occlusive velari, le occlusive
palatali sorda e sonora [c ɉ]. In una trascrizione «larga» questo effetto viene
generalmente trascurato, per cui si troverà chiaro ['kja:ro], aghi
['a:gi], ma l'effettiva pronuncia è invece ['cja:ro], ['a:ɉi].
Fricative
Come le occlusive, le fricative labiodentali
sorda [f] e sonora [v] e la alveolare sorda [s] sono anche lunghe: es. caffè
[kaf'fɛ], ovvio ['ɔvvjo], asso ['asso]. La fricativa
alveolare sonora [z] invece è sempre breve, come in quasi [‘kwa:zi]. La
fricativa prepalatale sonora [ʃ], infine, è sempre lunga in italiano standard
sia all'interno di parola, come in strisciare [striʃ'ʃa:re], sia
all'inizio di parola preceduta da vocale, come in lo scialle [lo 'ʃʃalle].
Le fricative alveolari [s z], in alcune
posizioni, come quella intervocalica, l'italiano standard ha in alcuni casi la
sorda (p. es. in casa, cosa ['ka:sa], ['kɔ:sa]) e in altri la
sonora (come in caso, quasi, viso ['ka:zo], ['kwa:zi], [‘vi:zo]).
In altre posizioni, invece, specifiche regole
consentono solo o l'una o l'altra delle due fricative alveolari:
• in posizione iniziale di parola c'è sempre la
sorda: sale ['sa:le], sordo ['sordo], sentire [sen'ti:re],
ecc.;
• c'è sempre la sorda anche all'inizio del
secondo elemento di una parola composta, p. es. semisordo [semi'sordo], risentire
[risen'ti:re];
• quando una fricativa alveolare è seguita da
una consonante entra in azione una regola di assimilazione regressiva di
sonorità che consente solo la fricativa alveolare sorda [s] davanti a
consonante sorda e solo la sonora [z] davanti a consonante sonora: sparo,
asta, scala, (['spa:ro], ['asta], ['ska:la]; sbadato, sdentato,
sgolarsi ([zba'da:to], [zden'ta:to], [zgo'larsi]. La regola di
assimilazione non funziona però con le approssimanti [j w]: siamo, suola
['sja:mo], ['swɔ:la];
• una fricativa alveolare preceduta da una
consonante è sempre sorda: ex- [ɛks], psiche ['psi:ke], abside
['abside], ansia ['ansja].
Affricate
Le affricate alveolari [ts dz] sono - come la
fricativa prepalatale [ʃ] - sempre lunghe in posizione intervocalica, sia
all'interno della parola sia in posizione iniziale di parola preceduta da
vocale: p. es. ozio, azione, lo zero (['ɔttsjo], [at'tsjo:ne],
[lo'ddzɛ:ro]).
Le affricate prepalatali [tʃ dʒ], invece,
possono - come le occlusive - occorrere sia come consonanti brevi sia come
consonanti lunghe all'interno della parola in posizione intervocalica: p. es. cacio,
caccio (['ka:tʃo], ['kattʃo]), Magi, maggio (['ma:dʒi],
['maddʒo]). Negli altri casi naturalmente si ha sempre la breve: cencio
['tʃentʃo], giunge [‘dʒundʒe].
Nasali
Tra le cinque consonanti nasali dell'italiano
standard [m ɱ n ɲ ŋ] ci sono foni che possono occorrere in qualunque posizione
[m n ɲ] e foni che vengono realizzati solo in un contesto di applicazione di
una regola di assimilazione [ɱ ŋ].
La nasale bilabiale [m], l'alveolare [n] e la
prepalatale [ŋ] possono infatti occorrere a inizio di parola (mela ['me:la],
nave ['na:ve], gnomo [‘ɲɔ:mo]) e in posizione intervocalica (amo
['a:mo], uno ['u:no], ogni ['oŋŋi].
L'alveolare appare spesso anche in posizione
finale: un [un], non [non], con [kon], ecc.; più raramente
può dirsi per la bilabiale: tram [tram], ecc.
Le nasali [m] e [n] possono essere brevi o
lunghe (p. es. Emma ['emma], anno ['anno]).
La nasale prepalatale [ɲ] - come la fricativa
prepalatale [ʃ] e come le affricate alveolari [ts] e [dz] (e la laterale
prepalatale [ʎ]) - è sempre lunga tra vocali e a inizio di parola dopo vocale:
p. es. lo gnomo [lo 'ɲɲɔ:mo].
La nasale labiodentale [m] e la nasale velare
[n], d'altro canto, possono occorrere solo davanti a una consonante prodotta
nello stesso luogo di articolazione. Quindi possiamo trovare una [m] solo
davanti a [f v], una [n] solo davanti a [k g].
Infatti, prima di una consonante può trovarsi in
italiano standard soltanto la nasale omorganica, cioè prodotta con gli
stessi organi della consonante seguente. Ciò si verifica come risultato
dell'applicazione di una regola di assimilazione regressiva che estende
alla nasale il luogo di articolazione del fono consonantico successivo.
Quindi, davanti a una consonante bilabiale [p b]
avremo sempre la nasale bilabiale [m], davanti a una alveolare [t d s z ts dz n
l r] avremo sempre la nasale alveolare [n], e così via.
La regola agisce sia all'interno della parola,
sia attraverso il confine di parola raggiungendo la nasale finale della parola
precedente. Nella tabella 2.2 le consonanti nasali nelle due posizioni in cui
si verifica l'assimilazione.
Laterali
La laterale alveolare [1] può occorrere in ogni
contesto e può essere breve o lunga: pala ['pa:la], palla
['palla], lana [‘la:na], caldo ['kaldo], ecc.
La laterale prepalatale [ʎ], al contrario,
appare solo tra vocali o a inizio di parola. Inoltre è sempre lunga tra vocali:
paglia, digli, ['paʎʎa], ['diʎʎi]. Può occorrere in posizione postconsonantica
unicamente in forme di infinito seguite dal pronome clitico gli: p. es. fargli
[‘farʎi].
Vibranti
La polivibrante alveolare [r] dell'italiano
standard può occorrere in ogni contesto e può essere breve (2-4 battiti) o
lunga (5-7 battiti): caro ['ka:ro], carro ['karro], rana
['ra:na], ecc.
Molti parlanti tuttavia, sostituiscono la [r]
con altri foni (detti comunemente «erre mosce»). Queste varianti sono
considerate equivalenti al fono standard e sono generalmente accettate. Si
tratta in particolare della vibrante uvulare [ʀ], della fricativa uvulare [ʁ],
dell'approssimante labiodentale [ʋ] e di altri foni meno frequenti.
Approssimanti
Le approssimanti dell'italiano standard, la
palatale [j] e la labiovelare [w], possono essere seguite solo da vocale;
inoltre sono sempre brevi: p. es. ieri ['je:ri], paio ['pa:jo], guaio
['gwa:jo], lingua [‘liŋgwa].
1.3. La struttura della
sillaba
Anche
la sillaba dell'italiano subisce alcune restrizioni fonotattiche, che
limitano i tipi sillabici e escludono alcune particolari sequenze di foni.
Il
nucleo della sillaba italiana contiene sempre un elemento vocalico. Non
esistono consonanti sillabiche.
L'elemento
vocalico è spesso una singola vocale, come nelle sillabe [a-], [tu-], [pen-] delle
parole amo, tubo, penna, ma sono consentiti anche
dittonghi, ovviamente discendenti, come nelle sillabe [ai], [voi], [pau-], in hai,
voi, pausa.
La
testa sillabica può essere vuota - cioè mancare del tutto - come in [a-]
di amo, può contenere un elemento consonantico, p. es. [pa-] di palo,
due elementi consonantici, p. es. [ska-] in scala, o tre consonanti, p.
es. [stren-] in strenna.
Una testa monoconsonantica può includere
qualunque consonante.
Anche le approssimanti [j] e [w] sono consonanti
a tutti gli effetti. Quindi un cosiddetto dittongo ascendente come quello della
sillaba [je-] di ieri è in realtà un nucleo vocalico con una testa
monoconsonantica, esattamente come la sillaba [dze-] di zero.
Una testa biconsonantica può includere
invece solo due tipi di sequenza:
-
a)
una successione con al primo posto una occlusiva o una fricativa labiodentale
[p b t d k g f v] e al secondo posto una laterale, una vibrante o
un'approssimante [1 r j w] e più raramente una fricativa alveolare [s]: p. es. [pri-]
in primo, [kre-] in credere, [flus-] in flusso, [psi-] in psicologo;
-
b)
una sequenza di due consonanti di cui la prima è una fricativa alveolare [s z]
e la seconda una qualunque altra consonante a eccezione di [s z ʃ tʃ dʒ ts ŋ ʎ]:
p. es. [sja-] in siamo, [zden-] in sdentato, [zva-] in svanire,
[zro-] in srotolare.
Una testa triconsonantica, infine, ha
obbligatoriamente al primo posto una fricativa alveolare [s z], mentre al secondo
e terzo posto ha una struttura identica al tipo a) della testa biconsonantica. Quindi [s z] - [p b t d k g f v] - [1 r j w]: p. es. [zbja-] in sbiadito,
[skwɔ-] in scuotere, [zgras-] in sgrassare, ecc.
La coda sillabica può essere in italiano
vuota, come in [pa-] di pane, monoconsonantica, come in [pan-] di panna,
o più raramente biconsonantica come in alcune parole di origine straniera, p.
es. [film], [sport], ecc.
Una coda monoconsonantica può nascere da tre
diversi tipi di struttura sillabica della parola:
• la consonante della coda può essere finale di
parola come in [dal] dal, [per] per, [gas] gas, [in] in;
• la consonante della coda può essere una
consonante fricativa alveolare, o una nasale, laterale, vibrante seguita da
un'altra consonante appartenente alla sillaba seguente: p. es. vispo [‘vis-po], panca
[‘paŋ-ka], alta ['al-ta], furto ['fur-to]; si osservi che nel
caso di s + consonante, come in vispo, la suddivisione in sillabe
fonetiche non coincide con quella prescritta dall'ortografia (vi-spo), poiché
il minimo di apertura viene raggiunto solo in corrispondenza dell'occlusiva e
dunque la [s] appartiene alla sillaba precedente;
• la consonante della coda può essere il primo
elemento di una consonante lunga. Infatti una consonante lunga viene
considerata in italiano una geminata, equivalente cioè alla sequenza di
due consonanti identiche, p. es. in botta ['bɔotta]. Di queste due
consonanti identiche, si assegna la prima alla sillaba precedente, la seconda
alla sillaba seguente: bot-ta. In tal modo ogni consonante lunga diventa
a sinistra coda sillabica, a destra testa sillabica.
Infine, le code biconsonantiche, come detto,
sono rare e percepite come estranee alla fonotassi italiana. Gli esempi di
prestiti come film, sprint, drink riflettono la fonotassi
della lingua d'origine.
1.4. L'accento di parola
Accento primario
La posizione dell'accento in italiano non è
determinata da una regola automatica e resta fondamentalmente libera, cioè
viene stabilita senza poter essere ricavata dalla struttura segmentale della
parola.
L'italiano ha dunque un accento libero, che può
cadere sull'ultima sillaba, sulla penultima, sulla terzultima, sulla
quartultima e - in forme verbali con particelle enclitiche - anche sulla
quintultima.
Una parola con l'accento sull'ultima sillaba è
detta tronca o ossitona, come in città, perché, andrò,
ecc.;
se l'accento è sulla penultima, la parola si
definisce piana o parossitona, come in quésti, cavàllo,
importànte, ecc.;
hanno l'accento sulla terzultima le parole sdrucciole
o proparossitone, come àngolo, patètici, pàrlano, classìfica,
enigmàtica.
Più rare le parole con
l'accento sulla quartultima sillaba, dette bisdrucciole: come in forme
di terza persona plurale del presente di verbi come àgitano, càpitano,
teléfonano, ecc. Si ottiene una bisdrucciola anche legando un pronome
clitico a una forma verbale sdrucciola, come in ìndicami, giùdicaci,
oppure due clitici a una forma piana, come pàrlamene, stùdiateli,
vedétevela, pèrdercisi [1].
Legando due clitici a una parola sdrucciola si
ottiene una struttura ancora più rara in italiano, con l'accento sulla
quintultima, detta - con una parola altrettanto rara - trisdrucciola: òccupatene,
ìndicamelo, amplìficagliele, ecc.
Naturalmente l'accento come prominenza esclude i
monosillabi, che non hanno evidentemente sillaba prominente e possono essere
considerati sempre privi di accento se presi isolatamente e non inseriti nella
catena parlata: p. es. [tu], [non], [ki], [ma], ecc.
Distintività dell'accento
Una conseguenza dell'accentuazione libera è che
in italiano si trovano parole identiche sul piano segmentale (cioè formate da
identiche successioni di vocali e consonanti) ma rese diverse dalla
collocazione dell'accento. In italiano abbiamo quindi un’accentuazione con funzione
distintiva. Si vedano, ad esempio, le coppie prìncipi/princìpi, sùbito/subìto,
o terne come càpito/capìto/capitò, ecc.
Si noti che la diversa lunghezza delle vocali
toniche rispetto alle atone, è solo una conseguenza diretta della collocazione
dell'accento dovuta alla legge di compensazione quantitativa (v. sopra).
Sul piano della produzione, abbiamo visto che
l'accento può essere veicolato da uno o più dei tre parametri prosodici
(intensità, altezza e durata). Si ritiene che in italiano tutti e tre questi
parametri cooperino a segnalare la prominenza della sillaba tonica, anche se
sembra che la maggiore durata svolga un ruolo prevalente rispetto agli altri
due.
Accento secondario
La parola italiana può anche portare un accento
secondario. Ciò accade nei composti formati da almeno quattro sillabe, come portaborse
[,porta’borse], rompi-scatole [,rompis'ka:tole].
La posizione dell'accento secondario in genere
coincide con la posizione originaria dell'accento nell'elemento che entra nel
composto, come casi sopra citati, ma non è sempre così: p. es. sessanta
[ses'santa], ma sessantuno [,sessan'tu:no]. Ciò accade per la tendenza
dell'italiano a mantenere l'accento secondario distante almeno due sillabe
rispetto al primario, alternando sillabe forti (con accento primario o
secondario) a sillabe deboli (prive di qualunque accento).
In parole di quattro o più sillabe, anche quando
non si tratti di composti, viene collocato un accento secondario in una
posizione che risponde ancora alla stessa esigenza, cioè quella di alternare
sillabe più forti a sillabe più deboli, come ad esempio in istantaneo
[istan'ta:neo], recuperare [rekupéra:re], ecc.
Questa alternanza può portare anche alla
presenza di due o più accenti secondari, oltre a quello principale, in funzione
del numero di sillabe della parola. Si pensi a polisillabi come inconsapevolmente
[,iŋkonsa,pevol'mɛnte], internazionalizzazione [,internat,tsjona,liddzat'tsjo:ne].
Forme clitiche e parole fonetiche
Abbiamo visto come un monosillabo isolato sia
privo di accento. Tuttavia, una volta inseriti nella catena parlata, i
monosillabi possono comportarsi in due modi differenti riguardo alla struttura
accentuale del sintagma o della frase di cui fanno parte.
5 pagine di 14 – per
continuare segui questo link (o copialo nella barra indirizzi):
[1] in quest'ultimo esempio pèrdere è
sdrucciolo, ma l'enclisi delle due particelle clitiche porta alla
caduta, o apocope, della vocale finale con conseguente perdita di una
sillaba e con il risultato di una struttura piana come pèrder.
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