giovedì 3 settembre 2015

Pietro Maturi, I suoni delle lingue (cap. II)



Capitolo 2 - I suoni dell’italiano

Nel primo capitolo sono state esposte le caratteristiche articolatorie e la classificazione dei suoni delle lingue in base al sistema IPA.
Ora affronteremo la descrizione del sistema fonetico dell'italiano, a cominciare dall'italiano standard, per proseguire con le caratteristiche fonetiche intersegmentale e soprasegmentale di alcune varietà regionali italiane.

1. L’italiano standard

Per italiano standard intendiamo un livello di lingua fissato in termini normativi che non corrisponde all'uso effettivo né nelle sue varietà regionali, né nell'uso individuale di persone reali.
Fino a qualche tempo fa si usa­va come riferimento standard il cosiddetto «italiano della RAI», dove venivano applicate nella lettura le norme della «ortoepia», cioè della pronuncia secondo la norma standard.

1.1. Le vocali

Vocalismo tonico
Il sistema vocalico tonico (cioè in sillaba portatrice dì prominenza accentuale) dell'italiano standard è formato da sette delle otto vocali cardinali primarie (i e ɛ a ɔ o u; rimane esclusa la posteriore bassa ɑ) – fig. 1. 

        









La tradizione linguistica romanza e italiana però hanno sempre preferito una rappresentazione di tipo triangolare e si parla in genere di triangolo vocalico (fig. 2).

 












La lunghezza delle vocali toniche nell'italiano standard è determinata automaticamente da una regola di compensazione quantitativa. Questa regola stabilisce che una sillaba tonica aperta, cioè priva di coda consonantica, ha una vocale lunga; viceversa una sillaba tonica chiusa, cioè con coda consonantica, ha una vocale breve (es. lunga in ca- di casa, sillaba aperta; breve in cas- di cassa, sillaba chiusa)
L’allungamento della vocale ‘compensa’ quindi l’assenza della consonante.
La regola non si applica alle sillabe atone come in ca- di casetta o cassetta perché l’accento è nella sillaba che succede. Non più toniche, sono ambedue brevi.
Sono escluse dall'applicazione della regola anche le sillabe toniche finali dì parola, nelle quali le vocali sono sempre brevi (es. papà).
In sintesi: sillaba atona (vocale breve); sillaba tonica finale (vocale breve); sillaba tonica non finale chiusa (vocale breve; sillaba tonica non finale aperta (vocale lunga).

Vocalismo atono

In sillaba atona, diversamente da quella tonica, l'italiano standard prevede solo cinque diverse foni vocalici (i e a o u). Cadono infatti le due medie anteriore e posteriore [ɛ] e [ɔ]. Anche in questo caso formiamo la rappresentazione dì tipo triangolare.















Le cinque vocali atone in posizione protonica (prima della sillaba tonica) e postonica (dopo la sillaba tonica) non sono coinvolte dalla regola di compensazione quantitativa e sono pertanto sempre brevi, in qualunque posizione siano collocate e quale che sia il tipo sillabico in cui sono inserite.



Dittonghi

Sì intenda per dittongo una sequenza di due vocali all'interno della stessa sillaba (cfr. § 3.2 Foni vocalici). Dunque la sequenza consonante approssimante + vocale frequente in italiano (es. piede, Giulietta, fuoco, ecc) non rientra in questa categoria, anche se vengono definiti dittonghi ascendenti, per il crescente grado di apertura.

Viceversa, i dittonghi discendenti, formati da due elementi vocalici di apertura decrescente, sono veri e propri dittonghi. Il picco sillabico è ovviamente l’elemento vocalico più aperto, che è il primo membro del dittongo (es. daino, auto, euro, poi, noi, ecc).
Infine ci sono i trittonghi, come in parole come miei, tuoi, quei, che in realtà sono una sequenza di approssimante + dittongo discendente;
e gli iati, come in paura, boato, ecc, in cui non c’è dittongo.

1.2. Le consonanti

II sistema consonantico dell'italiano standard include tre coppie di occlusive sorde e sonore [p b t d k g], due coppie di fricative più la prepalatale sorda [f v s z ʃ], due coppie di affricate sorde e sonore [ts dz tʃ  dʒ], una serie di nasali [m ɱ n ɲ ŋ], le due laterali [1 ʎ], la vibrante [r] e le due approssimanti [j w]. 






























Occlusive
Le sei consonanti occlusive dell'italiano [p b t d k g] sono presenti sia come consonanti brevi sia come consonanti lunghe nell'italiano standard: p. es. in coppa, ebbi, petto, ecc.
Le occlusive velari [k g] sono interessate da un fenomeno di coarticolazione: davanti alle vocali anteriori [ɛ e i] e all'approssimante palatale [j], ne anteriorizzano il luogo di articolazione assimilandolo a quello palatale di queste vocali. Il fenomeno di coarticolazione è particolarmente evidente davanti a [i] e a [j]. Il risultato è che vengono a realizzarsi, in luogo delle occlusive velari, le occlusive palatali sorda e sonora [c ɉ]. In una trascrizione «larga» questo effetto viene generalmente trascurato, per cui si troverà chiaro ['kja:ro], aghi ['a:gi], ma l'effettiva pronuncia è invece ['cja:ro], ['a:ɉi].

Fricative
Come le occlusive, le fricative labiodentali sorda [f] e sonora [v] e la alveolare sorda [s] sono anche lunghe: es. caffè [kaf'fɛ], ovvio ['ɔvvjo], asso ['asso]. La fricativa alveolare sonora [z] invece è sempre breve, come in quasi [‘kwa:zi]. La fricativa prepalatale sonora [ʃ], infine, è sempre lunga in italiano standard sia all'interno di parola, come in strisciare [striʃ'ʃa:re], sia all'inizio di parola preceduta da vocale, come in lo scialle [lo 'ʃʃalle].
Le fricative alveolari [s z], in alcune posizioni, come quella intervocalica, l'italiano standard ha in alcuni casi la sorda (p. es. in casa, cosa ['ka:sa], ['kɔ:sa]) e in altri la sonora (come in caso, quasi, viso ['ka:zo], ['kwa:zi], [‘vi:zo]).
In altre posizioni, invece, specifiche regole consentono solo o l'una o l'altra delle due fricative alveolari:
• in posizione iniziale di parola c'è sempre la sorda: sale ['sa:le], sordo ['sordo], sentire [sen'ti:re], ecc.;
• c'è sempre la sorda anche all'inizio del secondo elemento di una parola composta, p. es. semisordo [semi'sordo], risentire [risen'ti:re];
• quando una fricativa alveolare è seguita da una consonante entra in azione una regola di assimilazione regressiva di sonorità che consente solo la fricativa alveolare sorda [s] davanti a consonante sorda e solo la sonora [z] davanti a consonante sonora: sparo, asta, scala, (['spa:ro], ['asta], ['ska:la]; sbadato, sdentato, sgolarsi ([zba'da:to], [zden'ta:to], [zgo'larsi]. La regola di assimilazione non funziona però con le approssimanti [j w]: siamo, suola ['sja:mo], ['swɔ:la];
• una fricativa alveolare preceduta da una consonante è sempre sorda: ex- [ɛks], psiche ['psi:ke], abside ['abside], ansia ['ansja].

Affricate
Le affricate alveolari [ts dz] sono - come la fricativa prepalatale [ʃ] - sempre lunghe in posizione intervocalica, sia all'interno della parola sia in posizione iniziale di parola preceduta da vocale: p. es. ozio, azione, lo zero (['ɔttsjo], [at'tsjo:ne], [lo'ddzɛ:ro]).
Le affricate prepalatali [tʃ dʒ], invece, possono - come le occlusive - occorrere sia come consonanti brevi sia come consonanti lunghe all'interno della parola in posizione intervocalica: p. es. cacio, caccio (['ka:tʃo], ['kattʃo]), Magi, maggio (['ma:dʒi], ['maddʒo]). Negli altri casi naturalmente si ha sempre la breve: cencio ['tʃentʃo], giunge [‘dʒundʒe].

Nasali 
Tra le cinque consonanti nasali dell'italiano standard [m ɱ n ɲ ŋ] ci sono foni che possono occorrere in qualunque posizione [m n ɲ] e foni che vengono realizzati solo in un contesto di applicazione di una regola di assimilazione [ɱ ŋ].
La nasale bilabiale [m], l'alveolare [n] e la prepalatale [ŋ] possono infatti occorrere a inizio di parola (mela ['me:la], nave ['na:ve], gnomo [‘ɲɔ:mo]) e in posizione intervocalica (amo ['a:mo], uno ['u:no], ogni ['oŋŋi].
L'alveolare appare spesso anche in posizione finale: un [un], non [non], con [kon], ecc.; più raramente può dirsi per la bilabiale: tram [tram], ecc.
Le nasali [m] e [n] possono essere brevi o lunghe (p. es. Emma ['emma], anno ['anno]).
La nasale prepalatale [ɲ] - come la fricativa prepalatale [ʃ] e come le affricate alveolari [ts] e [dz] (e la laterale prepalatale [ʎ]) - è sempre lunga tra vocali e a inizio di parola dopo vocale: p. es. lo gnomo [lo 'ɲɲɔ:mo].
La nasale labiodentale [m] e la nasale velare [n], d'altro canto, possono occorrere solo davanti a una consonante prodotta nello stesso luogo di articolazione. Quindi possiamo trovare una [m] solo davanti a [f v], una [n] solo davanti a [k g].
Infatti, prima di una consonante può trovarsi in italiano standard soltanto la nasale omorganica, cioè prodotta con gli stessi organi della consonante seguente. Ciò si verifica come risultato dell'applicazione di una regola di assimilazione regressiva che estende alla nasale il luogo di articolazione del fono consonantico successivo.
Quindi, davanti a una consonante bilabiale [p b] avremo sempre la nasale bilabiale [m], davanti a una alveolare [t d s z ts dz n l r] avremo sempre la nasale alveolare [n], e così via.

La regola agisce sia all'interno della parola, sia attraverso il confine di parola raggiungendo la nasale finale della parola precedente. Nella tabella 2.2 le consonanti nasali nelle due posizioni in cui si verifica l'assimilazione.


Laterali
La laterale alveolare [1] può occorrere in ogni contesto e può essere breve o lunga: pala ['pa:la], palla ['palla], lana [‘la:na], caldo ['kaldo], ecc.
La laterale prepalatale [ʎ], al contrario, appare solo tra vocali o a inizio di parola. Inoltre è sempre lunga tra vocali: paglia, digli, ['paʎʎa], ['diʎʎi]. Può occorrere in posizione postconsonantica unicamente in forme di infinito seguite dal pronome clitico gli: p. es. fargli [‘farʎi].

Vibranti
La polivibrante alveolare [r] dell'italiano standard può occorrere in ogni contesto e può essere breve (2-4 battiti) o lunga (5-7 battiti): caro ['ka:ro], carro ['karro], rana ['ra:na], ecc.
Molti parlanti tuttavia, sostituiscono la [r] con altri foni (detti comunemente «erre mosce»). Queste varianti sono considerate equivalenti al fono standard e sono generalmente accettate. Si tratta in particolare della vibrante uvulare [ʀ], della fricativa uvulare [ʁ], dell'approssimante labiodentale [ʋ] e di altri foni meno frequenti.

Approssimanti
Le approssimanti dell'italiano standard, la palatale [j] e la labiovelare [w], possono essere seguite solo da vocale; inoltre sono sempre brevi: p. es. ieri ['je:ri], paio ['pa:jo], guaio ['gwa:jo], lingua [‘liŋgwa].

1.3. La struttura della sillaba

Anche la sillaba dell'italiano subisce alcune restrizioni fonotattiche, che limitano i tipi sillabici e escludono alcune particolari sequenze di foni.
Il nucleo della sillaba italiana contiene sempre un elemento vocalico. Non esistono consonanti sillabiche.
L'elemento vocalico è spesso una singola vocale, come nelle sillabe [a-], [tu-], [pen-] delle parole amo, tubo, penna, ma sono consentiti anche dittonghi, ovviamente discendenti, come nelle sillabe [ai], [voi], [pau-], in hai, voi, pausa.
La testa sillabica può essere vuota - cioè mancare del tutto - come in [a-] di amo, può contenere un elemento consonantico, p. es. [pa-] di palo, due elementi consonantici, p. es. [ska-] in scala, o tre consonanti, p. es. [stren-] in strenna.
Una testa monoconsonantica può includere qualunque consonante.
Anche le approssimanti [j] e [w] sono consonanti a tutti gli effetti. Quindi un cosiddetto dittongo ascendente come quello della sillaba [je-] di ieri è in realtà un nucleo vocalico con una testa monoconsonantica, esattamente come la sillaba [dze-] di zero.
Una testa biconsonantica può includere invece solo due tipi di sequenza:
-          a) una successione con al primo posto una occlusiva o una fricativa labiodentale [p b t d k g f v] e al secondo posto una laterale, una vibrante o un'approssimante [1 r j w] e più raramente una fricativa alveolare [s]: p. es. [pri-] in primo, [kre-] in credere, [flus-] in flusso, [psi-] in psicologo;
-          b) una sequenza di due consonanti di cui la prima è una fricativa alveolare [s z] e la seconda una qualunque altra consonante a eccezione di [s z ʃ tʃ dʒ ts ŋ ʎ]: p. es. [sja-] in siamo, [zden-] in sdentato, [zva-] in svanire, [zro-] in srotolare.
Una testa triconsonantica, infine, ha obbligatoriamente al primo posto una fricativa alveolare [s z], mentre al secondo e terzo posto ha una struttura identica al tipo a) della testa biconsonantica. Quindi [s z] - [p b t d k g f v] - [1 r j w]: p. es. [zbja-] in sbiadito, [skwɔ-] in scuotere, [zgras-] in sgrassare, ecc.         
La coda sillabica può essere in italiano vuota, come in [pa-] di pane, monoconsonantica, come in [pan-] di panna, o più raramente biconsonantica come in alcune parole di origine straniera, p. es. [film], [sport], ecc.
Una coda monoconsonantica può nascere da tre diversi tipi di struttura sillabica della parola:
• la consonante della coda può essere finale di parola come in [dal] dal, [per] per, [gas] gas, [in] in;
• la consonante della coda può essere una consonante fricativa alveolare, o una nasale, laterale, vibrante seguita da un'altra consonante appartenente alla sillaba seguente: p. es. vispo [‘vis-po], panca [‘paŋ-ka], alta ['al-ta], furto ['fur-to]; si osservi che nel caso di s + consonante, come in vispo, la suddivisione in sillabe fonetiche non coincide con quella prescritta dall'ortografia (vi-spo), poiché il minimo di apertura viene raggiunto solo in corrispondenza dell'occlusiva e dunque la [s] appartiene alla sillaba precedente;
• la consonante della coda può essere il primo elemento di una consonante lunga. Infatti una consonante lunga viene considerata in italiano una geminata, equivalente cioè alla sequenza di due consonanti identiche, p. es. in botta ['bɔotta]. Di queste due consonanti identiche, si assegna la prima alla sillaba precedente, la seconda alla sillaba seguente: bot-ta. In tal modo ogni consonante lunga diventa a sinistra coda sillabica, a destra testa sillabica.
Infine, le code biconsonantiche, come detto, sono rare e percepite come estranee alla fonotassi italiana. Gli esempi di prestiti come film, sprint, drink riflettono la fonotassi della lingua d'origine.

1.4. L'accento di parola

Accento primario
La posizione dell'accento in italiano non è determinata da una regola automatica e resta fondamentalmente libera, cioè viene stabilita senza poter essere ricavata dalla struttura segmentale della parola.
L'italiano ha dunque un accento libero, che può cadere sull'ultima sillaba, sulla penultima, sulla terzultima, sulla quartultima e - in forme verbali con particelle enclitiche - anche sulla quintultima.
Una parola con l'accento sull'ultima sillaba è detta tronca o ossitona, come in città, perché, andrò, ecc.;
se l'accento è sulla penultima, la parola si definisce piana o parossitona, come in quésti, cavàllo, importànte, ecc.;
hanno l'accento sulla terzultima le parole sdrucciole o proparossitone, come àngolo, patètici, pàrlano, classìfica, enigmàtica.
Più rare le parole con l'accento sulla quartultima sillaba, dette bisdrucciole: come in forme di terza persona plurale del presente di verbi come àgitano, càpitano, teléfonano, ecc. Si ottiene una bisdrucciola anche legando un pronome clitico a una forma verbale sdrucciola, come in ìndicami, giùdicaci, oppure due clitici a una forma piana, come pàrlamene, stùdiateli, vedétevela, pèrdercisi [1].
Legando due clitici a una parola sdrucciola si ottiene una struttura ancora più rara in italiano, con l'accento sulla quintultima, detta - con una parola altrettanto rara - trisdrucciola: òccupatene, ìndicamelo, amplìficagliele, ecc.
Naturalmente l'accento come prominenza esclude i monosillabi, che non hanno evidentemente sillaba prominente e possono essere considerati sempre privi di accento se presi isolatamente e non inseriti nella catena parlata: p. es. [tu], [non], [ki], [ma], ecc.

Distintività dell'accento
Una conseguenza dell'accentuazione libera è che in italiano si trovano parole identiche sul piano segmentale (cioè formate da identiche successioni di vocali e consonanti) ma rese diverse dalla collocazione dell'accento. In italiano abbiamo quindi un’accentuazione con funzione distintiva. Si vedano, ad esempio, le coppie prìncipi/princìpi, sùbito/subìto, o terne come càpito/capìto/capitò, ecc.
Si noti che la diversa lunghezza delle vocali toniche rispetto alle atone, è solo una conseguenza diretta della collocazione dell'accento dovuta alla legge di compensazione quantitativa (v. sopra).
Sul piano della produzione, abbiamo visto che l'accento può essere veicolato da uno o più dei tre parametri prosodici (intensità, altezza e durata). Si ritiene che in italiano tutti e tre questi parametri cooperino a segnalare la prominenza della sillaba tonica, anche se sembra che la maggiore durata svolga un ruolo prevalente rispetto agli altri due.

Accento secondario
La parola italiana può anche portare un accento secondario. Ciò accade nei composti formati da almeno quattro sillabe, come portaborse [,porta’borse], rompi-scatole [,rompis'ka:tole].
La posizione dell'accento secondario in genere coincide con la posizione originaria dell'accento nell'elemento che entra nel composto, come casi sopra citati, ma non è sempre così: p. es. sessanta [ses'santa], ma sessantuno [,sessan'tu:no]. Ciò accade per la tendenza dell'italiano a mantenere l'accento secondario distante almeno due sillabe rispetto al primario, alternando sillabe forti (con accento primario o secondario) a sillabe deboli (prive di qualunque accento).
In parole di quattro o più sillabe, anche quando non si tratti di composti, viene collocato un accento secondario in una posizione che risponde ancora alla stessa esigenza, cioè quella di alternare sillabe più forti a sillabe più deboli, come ad esempio in istantaneo [istan'ta:neo], recuperare [rekupéra:re], ecc.
Questa alternanza può portare anche alla presenza di due o più accenti secondari, oltre a quello principale, in funzione del numero di sillabe della parola. Si pensi a polisillabi come inconsapevolmente [,iŋkonsa,pevol'mɛnte], internazionalizzazione [,internat,tsjona,liddzat'tsjo:ne].

Forme clitiche e parole fonetiche
Abbiamo visto come un monosillabo isolato sia privo di accento. Tuttavia, una volta inseriti nella catena parlata, i monosillabi possono comportarsi in due modi differenti riguardo alla struttura accentuale del sintagma o della frase di cui fanno parte.


5 pagine di 14 – per continuare segui questo link (o copialo nella barra indirizzi):




[1] in quest'ultimo esempio pèrdere è sdrucciolo, ma l'enclisi delle due particelle clitiche porta alla caduta, o apocope, della vocale finale con conseguente perdita di una sillaba e con il risultato di una struttura piana come pèrder.

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