mercoledì 2 settembre 2015

Berruto/Cerruti - Linguistica generale. 4. Sintassi



G. Berruto M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo (Utet 2011)


Cap. 4 Sintassi

4.1 Analisi in costituenti

Il termine sintassi, a differenza di quelli precedentemente studiati che sono nati insieme al termine linguistica nell'Ottocento, si trova già presso i grammatici greci dell'età alessandrina (II-III sec. d.C.).
La sintassi è il livello di analisi che studia la struttura delle frasi, ovvero come si combinano tra loro le parole e come sono organizzate in frasi.
Come per la nozione di parola anche la nozione di frase è difficile da definire; possiamo definire una frase come qualcosa che deve contenere una predicazione, ovvero un'affermazione riguardo a qualcosa, attribuendo una qualità o un modo d’essere o d’agire a un’entità. Ad es., la frase Gianni è alto è una predicazione in quanto attribuisce la qualità altezza all'entità Gianni.
Normalmente il valore di predicare qualcosa è affidato ai verbi e in genere ogni verbo autonomo costituisce una frase (anche se esistono frasi senza verbo, dette frasi nominali, che contengono comunque una predicazione: ad es. la frase buona, questa torta, che è sinonimica alla frase questa torta è buona). Da ciò possiamo dedurre che un buon metodo, anche se non sempre sufficiente, per identificare il numero di frasi presenti in un testo è quello di contare le forme verbali.
Quando le frasi hanno un'estensione più ampia e sono più complesse (ovvero contengono più di una predicazione) si definiscono proposizioni: distinguiamo quindi da frasi semplici, o ‘clausole’, le frasi complesse, o proposizioni.
Per capire la struttura delle frasi per prima cosa bisogna vedere come sono organizzate tra loro le parole che le costituiscono. Il principio generale per l'analisi delle frasi è anch’esso basato, come per i livelli inferiori di analisi (fonologia e morfologia), sulla scomposizione o segmentazione. Tale analisi, introdotta dallo strutturalismo americano degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, va sotto il nome di ‘analisi in costituenti immediati’, che individua  diversi sottolivelli di analisi, e i costituenti di ogni sottolivello ‘costituiscono immediatamente’ (ovvero senza altri passaggi) il costituente del sottolivello di analisi superiore. Lo scopo è quindi quello di individuare i costituenti di ogni sottolivello e ciò è possibile anche qui attraverso la prova di commutazione, confrontando una frase con una più semplice ma con la stessa struttura (vedi l’esempio di analisi a p. 133).
Esistono diversi modi di rappresentare schematicamente l'analisi di una frase nei suoi costituenti: diagrammi o grafi ad albero, parentesi, parentesi indicizzate o etichettate ecc., ma il metodo più utile e frequente è quello degli alberi etichettati.
Questi alberi vengano definiti anche indicatori sintagmatici e sono costituiti da nodi da cui si dipartono rami; ogni nodo rappresenta un sottolivello di analisi e reca il simbolo della categoria a cui appartiene il costituente di quel sottolivello. Negli esempi n. 1 e 2 di p. 134 appare come si formano tali alberi, dove le sigle o simboli usati stanno per: F = Frase, SN = sintagma nominale (o anche GN = gruppo nominale e si riferisce al soggetto della frase), SV = sintagma verbale (il verbo della frase), N = nome, V = verbo, Art = articolo, Poss = possessivo (es.: mio), Art ( oppure Det = Determinante), Aus = ausiliare, PP = participio passato, Agg = aggettivo.
Ogni nodo, col relativo simbolo ‘domina’ i nodi dei rami che si dipartono da esso: ad es., F domina SN e SV; SN domina Art e N, ecc., e gli elementi che stanno al termine dello stesso nodo si chiamano ‘(costituenti) fratelli’.
I determinanti, tuttavia, sono una categoria che può comprendere articoli o aggettivi dimostrativi che compaiono davanti a un nome e svolgono appunto la funzione di determinare il referente da esso indicato[1].

4.2 Sintagmi

Come s’è visto l'analisi in costituenti individua tre sottolivelli di analisi sintattica: delle frasi, dei sintagmi (la più importante) e delle singole entrate lessicali (= parole).
II sintagma è definibile come la minima combinazione dì parole (almeno una) che funziona come unità della struttura frasale (o sintassi). È costruito attorno ad una testa da cui prende il nome.
La testa è la classe di parole che rappresenta il minimo elemento che da solo possa costituire sintagma. Se si elimina, il gruppo di parole considerato viene a perdere la natura di sintagma di quel tipo. Ad es., nel SN la copertina è blu, se eliminiamo la o blu abbiamo ancora un SN, ma se eliminiamo la testa (copertina) rimane la blu, che non è un SN.
Il sintagma nominale è quindi un sintagma costruito attorno a un nome: N è la testa di SN. Un nome può anche essere sostituito dai pronomi (PRO) e in tal caso la testa di SN è PRO.
Il sintagma nominale minimo è un N (o un PRO), il sintagma nominale massimo può avere una struttura molto complessa. In italiano un SN massimo (o ‘massimale’) potrebbe avere questa forma:
(Quant) + (Det) + (Poss) + (Num) + (Agg) + N + (Agg)      
    tutti       quei       miei     quattro       bei    polli  grassi
dove (Quant) sta ‘quantificatore’, (Num) per ‘numerale’ e le parentesi indicano che possono essere opzionali e possono non essere necessariamente presenti nel sintagma.
Testa di SV è V, testa di SPrep è Prep, anche se quest'ultima assegnazione pone dei problemi. Infatti, nel caso del sintagma preposizionale la preposizione, che nel sintagma preposizionale introduce e regge un sintagma nominale, non condivide la proprietà che hanno le altre teste di sintagma dì poter rappresentare da sole il sintagma: un nome funziona da sintagma nominale (in Parigi è bella, Parigi è SN), ma una preposizione non funziona da sintagma preposizionale (in parto per Parigi, per Parigi è SPrep; ma in *parto per, per non è un SPrep: non è niente.
Tutte le categorie lessicali di parole piene possono essere teste di sintagma. Possiamo quindi avere un sintagma aggettivale (SAgg), che ha per testa un aggettivo (es. molto bello) e un sintagma avverbiale (SAvv), che ha per testa un avverbio (es. abbastanza rapidamente).
I sottocostituenti dei vari tipi dì sintagmi, cioè gli elementi che possono attaccarsi alla testa e che quindi dipendono da questa, possono dar luogo a sintagmi anche assai complessi, dotati di una strutturazione interna a vari sottolivelli.
Nel quadro della grammatica generativa, il tema della struttura interna dei sintagmi è stato approfondito sotto il nome dì teoria X-barra, che individua i diversi ranghi di complessità dì un sintagma (X) con l'indicazione di apici (X', X", X'", ecc.) o lineette sovrapposte al simbolo. Ogni apice individua un sottolivello di crescente complessità interna del sintagma.

4.3 Funzioni sintattiche, strutturazione delle frasi e ordine dei costituenti

4.3.1 Funzioni sintattiche
Ai sintagmi che riempiono le posizioni strutturali di un indicatore sintagmatico vengono assegnati diversi valori funzionali necessari per l'interpretazione semantica delle frasi. Il modo in cui i costituenti si combinano nel dare luogo alle frasi è governato da principi complessi che interagiscono fra di loro per determinare l'ordine in cui si susseguono gli elementi e la gerarchia dei loro rapporti, e per conferire alle frasi una struttura sintattica di superficie con cui queste ci appaiono.
Occorre distinguere a questo proposito tre classi dì principi, riconducibili ai diversi piani che intervengono nel funzionamento della sintassi.
La prima fondamentale classe è interna alla sintassi: si tratta delle funzioni sintattiche, che riguardano il ruolo che i sintagmi assumono nella struttura sintattica sequenziale della frase, in cui i sintagmi nominali possono valere da soggetto o (complemento) oggetto, i sintagmi preposizionali possono valere da oggetto indiretto o da complemento e infine i sintagmi verbali, che possono valere da predicato. Le tre funzioni sintattiche fondamentali sono dunque il soggetto (chi compie l’azione), il predicato verbale (l’azione) e infine l’oggetto (chi subisce l’azione).
A queste si aggiungono numerosi complementi, di cui la grammatica tradizionale fornisce una lunga lista individuandoli e definendoli in genere sulla base dei loro valore semantico: complemento di specificazione, di termine, dì modo, di tempo ecc.
Le funzioni sintattiche sono spesso marcate morfologicamente, dì solito dalla morfologia di caso ma anche da quella di accordo. In molte lingue, incluso l’italiano, il soggetto è individuabile per il fatto che è il sintagma nominale con cui si lega il verbo. Possiamo altresì definire il soggetto come il SN dominato direttamente da F, e l'oggetto come il SN dominato da SV.
Si noti che in italiano, che per nomi e gli aggettivi non ha la morfologia di caso, i vari complementi sono introdotti da una preposizione e quindi espressi da sintagmi preposizionali.
Nelle lingue con morfologia di caso, invece, alcuni complementi sorso marcati contemporaneamente dal caso e da una preposizione (come ad esempio nel latino).

4.3.2 Schemi valenziali
Le funzioni sintattiche vengono in realtà assegnate a partire da schemi valenzìali (o ‘strutture argomentali’) che costituiscono l’embrione iniziale della strutturazione delle frasi e quindi possiamo dire che costituiscono la base per la costruzione delle funzioni sintattiche.
Per esempio, quando vogliamo enunciare qualcosa sotto forma di frase, partiamo dalla selezione di un verbo che rappresenta l'azione che vogliamo descrivere. Questo verbo (o predicato) è associato a delle valenze (o argomenti) che sono richieste dal tipo di significato del verbo (o predicato): ogni predicato configura un quadro dì elementi
chiamati in causa. Tali elementi sono appunto le valenze (o argomenti).
Ogni predicato, o, in primo luogo, ogni verbo stabilisce il numero e la natura delle valenze o argomenti che esso richiede, rappresentate da sintagmi nominali che li designano: possiede quindi un certo schema valenziale (o una certa struttura argomentativa).
Da questo punto di vista, i verbi sono in maggioranza monovalenti, bivalenti o trivalenti.
Camminare, ad esempio, è monovalente, implica cioè soltanto ‘qualcuno che cammini’; lodare è bivalente, implica cioè ‘qualcuno che lodi’ o ‘venga lodato’; dare è trivalente, implica cioè ‘qualcuno che dia’, ‘qualcosa che sia dato’ o ‘qualcuno a cui si dia’.
Esistono anche verbi zerovalenti (o ‘avalenti’), che cioè non hanno alcuna valenza: si tratta di verbi metereologici e atmosferici (es. piovere); tetravalenti:  che hanno quattro valenze, come ad es. spostare, (‘qualcuno sposta qualcosa da un luogo a un altro’).
Nei verbi bivalenti si può omettere una delle due valenze, in tal caso si dice che non tutte le posizioni dello schema valenziale sono saturate. Ad es. il verbo mangiare è bivalente (Luisa mangia una mela), ma la seconda valenza può
non essere espressa.
Molti verbi ammettono, in diverse accessioni, più schemi valenziali. Attaccare, ad es., è bivalente nel senso di ‘assalire’, ma trivalente nel senso di ‘appendere’.
Sulla base degli schemi valenziali, allora, il soggetto si potrebbe definire come la prima valenza di ogni verbo, cioè è l’argomento verbale più saliente, mentre la seconda valenza verbale coincide con la funzione sintattica di complemento oggetto, ma solo nel caso normale dei verbi transitivi (che ammettono la costruzione passiva): es. Laura mangia una mela.
In una frase, oltre ai costituenti sintattici che rendono le funzioni sintattiche previste dalla struttura argomentale, possono comparire altri elementi che non fanno parte dello schema valenziale e non sono direttamente implicati dal significato del verbo no facendo parte delle funzioni sintattiche fondamentali. Questi elementi sono detti circostanziali (o avverbiali) che tuttavia aggiungono informazioni spesso molto più salienti dal punto di vista comunicativo. Infatti, nella rappresentazione sintagmatica essi funzionano da modificatori della frase nel suo complesso, o del sintagma verbale o di quello nominale. Inoltre, diversamente dalle valenze, godono di libertà dì posizionamento all'interno della frase. Ad es., nella frase Luisa cuoce con pazienza la torta nel forno per tre ore, alla frase nucleare (Luisa cuoce la torta) sono aggiunti tre circostanziali (con pazienza; nel forno; per tre ore) che possono assumere posizioni diverse all’interno della frase.

4.3.3 Ruoli semantici
Un altro ordine di principi che intervengono nella costruzione e nell’interpretazione di una frase è dato da principi semantici che concernono propriamente il modo in cui il referente di ogni sintagma contribuisce e partecipa all'evento rappresentato dalla frase. Per individuare tali funzioni, chiamate ruoli semantici[2], occorre dunque spostarsi dalla considerazione della frase come struttura sintattica, concatenazione di sintagmi governata da regole grammaticali, generata da uno schema valenziale che attribuisce ai costituenti le funzioni sintattiche e guardare invece la frase come rappresentazione di una scena, o un evento, in cui i diversi elementi presenti hanno una certa relazione gli uni con gli altri in termini di ‘che cosa succede nella scena’. La frase è vista dalla prospettiva del significato, per cui si configura globalmente come una sorta di scena nella quale attori o personaggi o entità presenti interpretano delle parti. Le categorie che vengono usate per designare i ruoli semantici principali sono:
-          Agente: ruolo dell'entità animata che si fa intenzionalmente parte attiva provocando ciò che accade (es., Gianni mangia una mela);
-          Paziente: ruolo dell'entità che subisce o è interessata passivamente a ciò che accade (es., Gianni mangia una mela);
-          Sperimentatore: ruolo dell'entità che prova un certo stato o processo psicologico (es., A Luisa piacciono le mele);
-          Beneficiario: ruolo dell'entità che trae beneficio dall'azione (es., Giacomo regala un libro a Luisa);
-          Strumento: ruolo dell'entità inanimata mediante cui avviene ciò che accade (es., Giacomo taglia il pane col coltello);
-          Destinazione (anche ‘meta’ o ‘fine’): ruolo dell'entità verso cui si dirige l'attività espressa dal predicato (es., Laura parte per le vacanze)

Altri ruoli semantici che possono intervenire sono:
-          Località (anche ‘collocazione’): ruolo semantico dell’entità in cui sono situati nello spazio l'azione, il processo, lo stato (es. Gianni  abita in campagna);
-          Provenienza (anche ‘origine’): ruolo dell’entità dalla quale un'entità si muove in relazione all'azione espressa dal predicato (es., Luisa preleva soldi dal conto);
-          Dimensione (anche misura): ruolo dell’entità che indica una determinata estensione nello spazio e nel tempo (es., Luisa pesa cento chili);
-          Comitativo: ruolo dell’entità che partecipa all'attività svolta dall'agente (es., Luisa ha discusso la tesi col professore).

Anche i predicati, cioè i verbi, possono essere distinti per ruoli semantici, come ‘processo’ (trasformare, fiorire, invecchiare), ‘azione’ (correre, picchiare), ‘stato’ (esistere).
Tra le funzioni sintattiche e i ruoli semantici ci sono rapporti preferenziali per cui, ad esempio, ciò che ha il ruolo di..


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[1] Un altro modo di rappresentare la struttura interna di costrutti non molto complessi è la parentesizzazione, dove ogni parentesi aperta e chiusa corrisponde a un sottolivello di analisi sintattica. Le parentesi possono inoltre essere accompagnate con gli opportuni simboli di categoria (vd. es. a p. 135).
[2] In grammatica generativa ‘ruoli tematici’.

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