G. Berruto M.
Cerruti, La linguistica. Un
corso introduttivo (Utet 2011)
Cap. 8 Cenni di
storia della disciplina
8.1 Fino
all’Ottocento
La
linguistica è ritenuta una disciplina relativamente giovane. Ancor più giovane
è la linguistica generale, il cui atto di nascita (1916) si fa coincidere con
la pubblicazione postuma del Cours de linguistique generale di Ferdinand
de Saussure.
Sin
dall’antichità, tuttavia, è sempre esistito un pensiero linguistico sviluppato,
con ampie speculazioni sulla natura e il posto del linguaggio verbale nella
cultura.
Liste
di morfemi prodotte dagli Egizi testimoniano già l’esistenza di un sapere sulle
lingue, ma è solo col pensiero filosofico greco classico che si ha avrà un
primo corpo sistematico delle dottrine sulla lingua e con la cultura indiana
del V sec. a.C. le prime descrizioni grammaticali su una lingua.
Un
posto di rilievo ai primordi della storia della linguistica nelle due
principali direzioni, filosofica e grammaticale, hanno il Cratilo
di Platone (IV sec. a.C), dedicato alla discussione della natura e dell'uso del
linguaggio, e il grammatico indiano Panini (IV sec. a.C.).
Ai
Sofisti, che sostenevano l'assoluta convenzionalità del rapporto fra le parole
e le cose (il problema dell'arbitrarietà dei segni costituisce una questione
basilare perennemente dibattuta nel pensiero linguistico), discutendo dei ‘nomi’
e della loro attribuzione alle cose, porta vari argomenti pro o contro il fatto
che i nomi alle cose vengano dati o ‘per
natura’ (physei) o ‘per consuetudine’ (étheì) o ‘per posizione’
(convenzione, thésef). Platone sembra propendere comunque per una
visione in cui c'è un rapporto non meramente convenzionale fra il mondo delle
idee, gli oggetti e le parole, essendo il linguaggio il rispecchiamento di
immagini mentali delle cose.
A
Panini si deve un'approfondita descrizione grammaticale basata su categorie e
principi che in parte sembrano anticipare metodi e assunti formali dello
strutturalismo del Novecento. L'Astadhyayi di Panini fornisce infatti
un'analisi principalmente fonologica e morfologica del sanscrito mediante un
sistema di regole e operazioni che combinano elementi di base in sequenze via
via più complesse.
Nel
periodo fra il III sec. a.C. e il II sec. d.C. si formava e sviluppava in Cina
un'elaborata tradizione filologica di analisi e commento dei caratteri
dell'alfabeto cinese e del loro rapporto con parole e significati. Nella Grecia
classica, intanto, fondamentali riflessioni sul linguaggio contrassegnano il
pensiero di Aristotele, che sostiene, rispetto all’idealismo platonico,
la totale convenzionalità del linguaggio (presente anche nella cultura cinese
coeva). Ad Aristotele si deve una prima embrionale teoria delle principali
'parti del discorso' (fondata sulla distinzione basilare fra nome, ónoma,
e verbo, rhȇma), della flessione e dei casi grammaticali. Del resto,
linguisti di fatto erano già gli ignoti elaboratori dell'alfabeto greco, il
primo che utilizzi lettere indipendenti per le consonanti e per le vocali, e
quindi presupponga implicitamente un'analisi segmentale completa dei foni che
costituiscono la catena parlata.
Ai
grammatici greco-latini si deve la fissazione delle nozioni fondamentali che
rimarranno il fulcro della trattazione grammaticale, in particolare la
classificazione delle cosiddette parti del discorso (partes orationis)
in otto categorie, coincidenti con le nove (cfr. § 3.4) in seguito riconosciute.
Ad
Alessandria d'Egitto furono attivi Dionisio Trace (170-90 a.C.), autore della Tèchné
grammatikè (‘Arte della grammatica’) e Apollonio Discolo (II sec. d.C.),
che per primo utilizzò il termine sintassi (gli altri termini relativi
ai livelli di analisi oggi praticati, fonetica, fonologia, morfologia,
semantica, e lo stesso linguistica risalgono a non più in là
dell'Ottocento).
Durante
i 'secoli bui' dell'Alto Medioevo
vanno comunque menzionate l'opera di Isidoro di Siviglia
(560-636), autore di venti libri di Etymologiae che, partendo dalla
spiegazione (spesso fantasiosa) dell'origine etimologica delle parole,
forniscono una summa enciclopedica delle conoscenze del mondo antico, la
prosecuzione della trattatistica grammaticale di impronta greco-latina (Giuliano
di Toledo) e, soprattutto, nella tradizione non occidentale, l'importante
attività dei grammatici arabi delI’VIII sec., che Sibawayhi riassunse
nel Kitab, il ‘Libro’ per antonomasia, grammatica concepita per
insegnare la lingua araba a chi non la sapeva.
Nei
primi secoli del secondo Millennio le riflessioni e speculazioni sul linguaggio
ripresero vigorosamente, favorite dalla riscoperta di Aristotele, fino a
sfociare fra il XIII e il XIV sec. nella cosiddetta 'grammatica speculativa',
praticata da un gruppo di filosofi (Boezio di Dacia, Radulphus Brito) attivi
fra Parigi, Bologna e Erfurt (in Turingia), detti anche ‘modisti’, dal
titolo dell'opera di Tommaso di Erfurt, Tractatus de modis significandi seu
Grammatica speculativa (c. 1310). La teoria grammaticale dei modisti vede
le parole manifestarsi mediante i loro ‘modi di significare’, che ne
attualizzano la specificazione semantica in relazione ai diversi contesti.
Un
posto significativo nel pensiero linguistico del Medioevo spetta anche a Dante
Alighieri, sia per le assunzioni di matrice aristotelica mediate dalla
filosofia scolastica presenti in più punti del Convivio (e in qualche
passaggio della Divina Commedia) circa la compresenza necessaria nel
linguaggio di una componente naturale e di una componente culturale, sia
soprattutto per la prima panoramica dei dialetti italiani tracciata nel De
vulgari eloquentia (1304-08).
Nel
XVI sec. si assiste in tutta Europa a un fiorire di trattatistica
grammaticale, anche in connessione coi processi di emancipazione e
standardizzazione delle lingue volgari.
Mentre
da un lato le rimeditazioni della grammatica del latino consentono ad autori
come l'italiano Giulio Cesare Scaligero (1484-1558), il francese Pierre de la
Ramée (Petrus Ramus; 1515-1572) e lo spagnolo Francisco Sànchez (Franciscus
Sanctius; 1523-1601) riflessioni teoriche che riprendono aspetti del pensiero
dei modisti e preparano il terreno ai successivi sviluppi razionalisti,
dall'altro vengono prodotte le prime grammatiche del volgare toscano (L.B.
Alberti 1437-41, G.F.
Fortunio, 1516), dello spagnolo (castigliano; A. de Nebrija, 1492) del francese
(J. Dubois), del portoghese (F. de Oliveira, 1536), dell'inglese (W. Bullokar,
1586), del tedesco (L. Albertus, 1573).
Il
Seicento è un secolo
altamente significativo per la storia del pensiero linguistico, giacché vi si
innestano le radici dei principi di fondo che caratterizzano ancora oggi la
moderna linguistica scientifica.
L'importanza
della Scuola giansenista di Port-Royal e del razionalismo cartesiano è
stata per es. sottolineata dallo stesso Chomsky: A. Arnauld e A. Lancelot nella
loro Grammaire generale et raisonnée (1660), propongono una teoria
grammaticale che sia ‘generale’, vale a dire universale, valida per tutte le
lingue, e ‘ragionata’, cioè basata sullo stretto rapporto fra pensiero e
linguaggio.
Il
Seicento è anche caratterizzato da uno spiccato interesse per la documentazione
di lingue esotiche, Già a metà Cinquecento l'erudito svizzero Conrad von Gessner
aveva del resto raccolto sotto il titolo Mithridates (dal nome di
Mitridate Eupatore, 132-63 a.C,
re del Ponto, noto come il più famoso poliglotta dell'antichità) dati su circa
130 lingue diverse, illustrandole con 22 versioni del Poter Noster in
altrettante lingue; opera che inaugura una serie di raccolte poliglotte dei
secoli successivi.
Con
questo filone documentario di lingue esistenti va di pari passo l'interesse per
la progettazione e creazione di lingue artificiali 'filosofiche', valide per la
comunicazione universale. Il nome più insigne è qui quello del Gottfred von Leibniz
(1646-1716), che sulla base di un progetto di sistemazione generale del sapere
universale lavorò a una sorta di scomposizione dei concetti in elementi basici
da combinare fra loro mediante un calcolo, la characteristica universalis,
che doveva servire da fondamento per un'unica lingua simbolica valida per
tutti. Leibniz associò questa speculazione a una teoria del linguaggio che
mette in primo piano la componente della motivazione naturale dei segni
linguistici.
Altro
tentativo secentesco di creazione ili una tassonomia concettuale in generi e
specie a cui far corrispondere l’articolazione formale delle parole di una
lingua universale è quello dell'inglese John Wilkins. Una voce rilevante
nel pensiero linguistico della seconda metà del Seicento è anche quella del
filosofo inglese John Locke (1632-1702), fautore di una teoria semantica
empiristica che mette in primo piano la concezione della lingua come strumento
pratico e afferma con decisione la radicale arbitrarietà della relazione fra
nomi e significati.
Nel
pensiero linguistico del Settecento,
in cui occupa una posizione centrale il dibattito sulle origini del linguaggio,
si incontrano posizioni significative. Il pensiero storicistico italiano ha
conferito notevole importanza alle idee sul linguaggio di Giambattista Vico
(1668-1744), nettamente contrarie al razionalismo e al convenzionalismo, e a sostegno
del radicamento spontaneo del linguaggio nella natura umana.
Lo
sviluppo del linguaggio si innesta nella storia in stretta associazione con la
retorica e la poesia (per Vico la lingua è sempre una creazione individuale)
secondo tre tappe fondamentali: una lingua primordiale, ‘divina’, una ‘lingua
degli eroi’ e una ‘lingua del volgo’.
Alla
questione dell'origine del linguaggio si ricollega il filosofo illuminista
Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780), che formula una sua teoria
dell'arbitrarietà e convenzionalità volontaria del segno rispetto alle idee,
e sottolinea il valore della condivisione
sociale del linguaggio.
Condillac
discute anche ampiamente la questione del ‘genio delle lingue’ (i 'caratteri'
intellettuali che le diverse lingue manifestano); a tale dibattito contribuisce
significativamente Melchiorre Cesarotti (1730-1808) col Saggio sopra
la filosofia delle lingue (1786), mentre il filosofo tedesco Johann
Gottfried Herder (1744-1803) sviluppa tesi sull'origine del linguaggio
che riecheggiano idee di Vico e rappresentano i prodromi dell'ideologia
romantica.
Sul
finire del secolo, lo studioso tedesco Johann Christoph Adelung
(1732-1806) continua la tradizione dei Mithridates con un'opera in 4
volumi contenente informazioni su un gran numero di lingue e la traduzione del Pater
Noster in quasi cinquecento idiomi.
8.2 Dall’Ottocento ai giorni
nostri
8.2.1 La linguistica ottocentesca
II
passo decisivo per la nascita della nuova disciplina è preparato già alla fine
del Settecento, con il riconoscimento e l'affermazione su base comparativa
della parentela fra il sanscrito e le lingue europee (William Jones,
1786).
La
scoperta e lo studio sistematico, attraverso il metodo storico-comparativo,
della parentela fra le lingue sono…
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