mercoledì 2 settembre 2015

Berruto/Cerruti - Linguistica generale. 8. Cenni di storia della disciplina



G. Berruto M. Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo (Utet 2011)


Cap. 8 Cenni di storia della disciplina

8.1 Fino all’Ottocento

La linguistica è ritenuta una disciplina relativamente giovane. Ancor più giovane è la linguistica generale, il cui atto di nascita (1916) si fa coincidere con la pubblicazione postuma del Cours de linguistique generale di Ferdinand de Saussure.

Sin dall’antichità, tuttavia, è sempre esistito un pensiero linguistico sviluppato, con ampie speculazioni sulla natura e il posto del linguaggio verbale nella cultura.
Liste di morfemi prodotte dagli Egizi testimoniano già l’esistenza di un sapere sulle lingue, ma è solo col pensiero filosofico greco classico che si ha avrà un primo corpo sistematico delle dottrine sulla lingua e con la cultura indiana del V sec. a.C. le prime descrizioni grammaticali su una lingua.
Un posto di rilievo ai primordi della storia della linguistica nelle due principali direzioni, filosofica e grammaticale, hanno il Cratilo di Platone (IV sec. a.C), dedicato alla discussione della natura e dell'uso del linguaggio, e il grammatico indiano Panini (IV sec. a.C.).
Ai Sofisti, che sostenevano l'assoluta convenzionalità del rapporto fra le parole e le cose (il problema dell'arbitrarietà dei segni costituisce una questione basilare perennemente dibattuta nel pensiero linguistico), discutendo dei ‘nomi’ e della loro attribuzione alle cose, porta vari argomenti pro o contro il fatto che i nomi alle cose vengano dati  o ‘per natura’ (physei) o ‘per consuetudine’ (étheì) o ‘per posizione’ (convenzione, thésef). Platone sembra propendere comunque per una visione in cui c'è un rapporto non meramente convenzionale fra il mondo delle idee, gli oggetti e le parole, essendo il linguaggio il rispecchiamento di immagini mentali delle cose.
A Panini si deve un'approfondita descrizione grammaticale basata su categorie e principi che in parte sembrano anticipare metodi e assunti formali dello strutturalismo del Novecento. L'Astadhyayi di Panini fornisce infatti un'analisi principalmente fonologica e morfologica del sanscrito mediante un sistema di regole e operazioni che combinano elementi di base in sequenze via via più complesse.
Nel periodo fra il III sec. a.C. e il II sec. d.C. si formava e sviluppava in Cina un'elaborata tradizione filologica di analisi e commento dei caratteri dell'alfabeto cinese e del loro rapporto con parole e significati. Nella Grecia classica, intanto, fondamentali riflessioni sul linguaggio contrassegnano il pensiero di Aristotele, che sostiene, rispetto all’idealismo platonico, la totale convenzionalità del linguaggio (presente anche nella cultura cinese coeva). Ad Aristotele si deve una prima embrionale teoria delle principali 'parti del discorso' (fondata sulla distinzione basilare fra nome, ónoma, e verbo, rhȇma), della flessione e dei casi grammaticali. Del resto, linguisti di fatto erano già gli ignoti elaboratori dell'alfabeto greco, il primo che utilizzi lettere indipendenti per le consonanti e per le vocali, e quindi presupponga implicitamente un'analisi segmentale completa dei foni che costituiscono la catena parlata.
Ai grammatici greco-latini si deve la fissazione delle nozioni fondamentali che rimarranno il fulcro della trattazione grammaticale, in particolare la classificazione delle cosiddette parti del discorso (partes orationis) in otto categorie, coincidenti con le nove (cfr. § 3.4) in seguito riconosciute.
Ad Alessandria d'Egitto furono attivi Dionisio Trace (170-90 a.C.), autore della Tèchné grammatikè (‘Arte della grammatica’) e Apollonio Discolo (II sec. d.C.), che per primo utilizzò il termine sintassi (gli altri termini relativi ai livelli di analisi oggi praticati, fonetica, fonologia, morfologia, semantica, e lo stesso linguistica risalgono a non più in là dell'Ottocento).

Durante i 'secoli bui' dell'Alto Medioevo vanno comunque menzionate l'opera di Isidoro di Siviglia (560-636), autore di venti libri di Etymologiae che, partendo dalla spiegazione (spesso fantasiosa) dell'origine etimologica delle parole, forniscono una summa enciclopedica delle conoscenze del mondo antico, la prosecuzione della trattatistica grammaticale di impronta greco-latina (Giuliano di Toledo) e, soprattutto, nella tradizione non occidentale, l'importante attività dei grammatici arabi delI’VIII sec., che Sibawayhi riassunse nel Kitab, il ‘Libro’ per antonomasia, grammatica concepita per insegnare la lingua araba a chi non la sapeva.
Nei primi secoli del secondo Millennio le riflessioni e speculazioni sul linguaggio ripresero vigorosamente, favorite dalla riscoperta di Aristotele, fino a sfociare fra il XIII e il XIV sec. nella cosiddetta 'grammatica speculativa', praticata da un gruppo di filosofi (Boezio di Dacia, Radulphus Brito) attivi fra Parigi, Bologna e Erfurt (in Turingia), detti anche ‘modisti’, dal titolo dell'opera di Tommaso di Erfurt, Tractatus de modis significandi seu Grammatica speculativa (c. 1310). La teoria grammaticale dei modisti vede le parole manifestarsi mediante i loro ‘modi di significare’, che ne attualizzano la specificazione semantica in relazione ai diversi contesti.

Un posto significativo nel pensiero linguistico del Medioevo spetta anche a Dante Alighieri, sia per le assunzioni di matrice aristotelica mediate dalla filosofia scolastica presenti in più punti del Convivio (e in qualche passaggio della Divina Commedia) circa la compresenza necessaria nel linguaggio di una componente naturale e di una componente culturale, sia soprattutto per la prima panoramica dei dialetti italiani tracciata nel De vulgari eloquentia (1304-08).

Nel XVI sec. si assiste in tutta Europa a un fiorire di trattatistica grammaticale, anche in connessione coi processi di emancipazione e standardizzazione delle lingue volgari.
Mentre da un lato le rimeditazioni della grammatica del latino consentono ad autori come l'italiano Giulio Cesare Scaligero (1484-1558), il francese Pierre de la Ramée (Petrus Ramus; 1515-1572) e lo spagnolo Francisco Sànchez (Franciscus Sanctius; 1523-1601) riflessioni teoriche che riprendono aspetti del pensiero dei modisti e preparano il terreno ai successivi sviluppi razionalisti, dall'altro vengono prodotte le prime grammatiche del volgare toscano (L.B. Alberti 1437-41, G.F. Fortunio, 1516), dello spagnolo (castigliano; A. de Nebrija, 1492) del francese (J. Dubois), del portoghese (F. de Oliveira, 1536), dell'inglese (W. Bullokar, 1586), del tedesco (L. Albertus, 1573).

Il Seicento è un secolo altamente significativo per la storia del pensiero linguistico, giacché vi si innestano le radici dei principi di fondo che caratterizzano ancora oggi la moderna linguistica scientifica.
L'importanza della Scuola giansenista di Port-Royal e del razionalismo cartesiano è stata per es. sottolineata dallo stesso Chomsky: A. Arnauld e A. Lancelot nella loro Grammaire generale et raisonnée (1660), propongono una teoria grammaticale che sia ‘generale’, vale a dire universale, valida per tutte le lingue, e ‘ragionata’, cioè basata sullo stretto rapporto fra pensiero e linguaggio.
Il Seicento è anche caratterizzato da uno spiccato interesse per la documentazione di lingue esotiche, Già a metà Cinquecento l'erudito svizzero Conrad von Gessner aveva del resto raccolto sotto il titolo Mithridates (dal nome di Mitridate Eupatore, 132-63 a.C, re del Ponto, noto come il più famoso poliglotta dell'antichità) dati su circa 130 lingue diverse, illustrandole con 22 versioni del Poter Noster in altrettante lingue; opera che inaugura una serie di raccolte poliglotte dei secoli successivi.
Con questo filone documentario di lingue esistenti va di pari passo l'interesse per la progettazione e creazione di lingue artificiali 'filosofiche', valide per la comunicazione universale. Il nome più insigne è qui quello del Gottfred von Leibniz (1646-1716), che sulla base di un progetto di sistemazione generale del sapere universale lavorò a una sorta di scomposizione dei concetti in elementi basici da combinare fra loro mediante un calcolo, la characteristica universalis, che doveva servire da fondamento per un'unica lingua simbolica valida per tutti. Leibniz associò questa speculazione a una teoria del linguaggio che mette in primo piano la componente della motivazione naturale dei segni linguistici.
Altro tentativo secentesco di creazione ili una tassonomia concettuale in generi e specie a cui far corrispondere l’articolazione formale delle parole di una lingua universale è quello dell'inglese John Wilkins. Una voce rilevante nel pensiero linguistico della seconda metà del Seicento è anche quella del filosofo inglese John Locke (1632-1702), fautore di una teoria semantica empiristica che mette in primo piano la concezione della lingua come strumento pratico e afferma con decisione la radicale arbitrarietà della relazione fra nomi e significati.

Nel pensiero linguistico del Settecento, in cui occupa una posizione centrale il dibattito sulle origini del linguaggio, si incontrano posizioni significative. Il pensiero storicistico italiano ha conferito notevole importanza alle idee sul linguaggio di Giambattista Vico (1668-1744), nettamente contrarie al razionalismo e al convenzionalismo, e a sostegno del radicamento spontaneo del linguaggio nella natura umana.
Lo sviluppo del linguaggio si innesta nella storia in stretta associazione con la retorica e la poesia (per Vico la lingua è sempre una creazione individuale) secondo tre tappe fondamentali: una lingua primordiale, ‘divina’, una ‘lingua degli eroi’ e una ‘lingua del volgo’.
Alla questione dell'origine del linguaggio si ricollega il filosofo illuminista Étienne Bonnot de Condillac (1714-1780), che formula una sua teoria dell'arbitrarietà e convenzionalità volontaria del segno rispetto alle idee, e sottolinea il valore della condivisione sociale del linguaggio.
Condillac discute anche ampiamente la questione del ‘genio delle lingue’ (i 'caratteri' intellettuali che le diverse lingue manifestano); a tale dibattito contribuisce significativamente Melchiorre Cesarotti (1730-1808) col Saggio sopra la filosofia delle lingue (1786), mentre il filosofo tedesco Johann Gottfried Herder (1744-1803) sviluppa tesi sull'origine del linguaggio che riecheggiano idee di Vico e rappresentano i prodromi dell'ideologia romantica.
Sul finire del secolo, lo studioso tedesco Johann Christoph Adelung (1732-1806) continua la tradizione dei Mithridates con un'opera in 4 volumi contenente informazioni su un gran numero di lingue e la traduzione del Pater Noster in quasi cinquecento idiomi.


8.2 Dall’Ottocento ai giorni nostri

8.2.1 La linguistica ottocentesca

II passo decisivo per la nascita della nuova disciplina è preparato già alla fine del Settecento, con il riconoscimento e l'affermazione su base comparativa della parentela fra il sanscrito e le lingue europee (William Jones, 1786).
La scoperta e lo studio sistematico, attraverso il metodo storico-comparativo, della parentela fra le lingue sono…


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